La recente notizia sulla ripresa dei matrimoni costituisce un dato la cui veridicità andrà verificata con ulteriori informazioni, ma soprattutto andrà esaminata nel medio termine, prima di poter esser certi sulla sua consistenza reale. Tuttavia, proprio perché la prudenza è d’obbligo, non si può restare indifferenti dinanzi allo scalpore che l’informazione ha suscitato.



È ovvio che, qualora una tale tendenza fosse confermata e si verificasse un incremento costante dei matrimoni nei prossimi anni, ciò avrebbe un significato del tutto particolare: una tale ripresa dell’istituzione matrimoniale — civile o religiosa che sia — per quanto appaia parallela ad un vistoso aumento dei divorzi ed al diffondersi delle seconde nozze, segnalerebbe comunque la chiusura di un’intera epoca. Questa rivelerebbe infatti il venir meno della cultura del disimpegno e del primato del distacco verso qualsiasi legame. Così come mostrerebbe anche l’affievolirsi del primato dell’immediato presente su qualsiasi tentativo di unione destinata a durare. Un intero universo culturale che ha fatto dell’attimo fuggente e del benessere qui ed ora la propria stella polare ed il proprio principale criterio di riferimento, manifesterebbe di fatto il proprio declino.



Certamente l’area del rifiuto del vincolo matrimoniale è ancora estremamente vasta. Per di più gode ancora della posizione dominante e continua ad occupare il proscenio. Media e industria pubblicitaria continuano ancora a sciorinare immagini e contenuti che fanno del matrimonio un puro gioco estetico, all’insegna del glamour e dello spreco. Probabilmente, ancora per qualche anno, continueremo a vederci propinare storie di matrimoni senza un’anima reale, pronti a sciogliersi come neve al sole all’arrivo di una nuova ed intensa relazione affettiva, della quale (pare) siamo sempre in attesa. 



C’è da chiedersi se l’attesa reale che le pagine di commenti sul dato della ripresa dei matrimoni hanno rivelato, non sia invece quella della fine di un tale universo sentimentalmente precario, caratterizzato dall’eterno svincolarsi e dal costante dileguarsi dinanzi a qualsiasi tentativo di costruire e di edificare. C’è da chiedersi se dietro alle pagine dei quotidiani dedicate ad una tale notizia non vi sia una sorta di parola d’ordine inconfessata ed inconfessabile e che possiamo riassumere con l’espressione del “così non può durare”.

È forse il desiderio tenace ed esteso che una tale cultura del provvisorio venga meno, della quale l’aumento dei matrimoni sarebbe un felice segnale, a farci sperare in un rapido mutamento d’epoca? Non c’è forse l’augurio segreto della fine di questa cultura dell’infinito svincolarsi da impegni e responsabilità a favore di una continua reiterazione del Peter Pan immaginario che non riesce mai ad elaborare il proprio accesso ad una vita adulta, interamente strutturata intorno all’idea del  costruire e dell’edificare?

Potrebbe essere così. La crisi infatti di un modello culturale si vede anche dalla tensione con la quale si finisce per andare febbrilmente alla ricerca dei segnali del mutamento, capaci di farci intravvedere la fine del tunnel. Sono segnali di una speranza inconfessata ma non di meno incredibilmente estesa. 

È in questa chiave che può essere letto anche il dato opposto: quello dell’impennata dei divorzi (che, tra l’altro è ben più vistosa di quella dei matrimoni: visto che siamo dinanzi ad un incremento del 57% rispetto a quello del 2,4% registrato dai matrimoni). Non si tratta affatto di una contraddizione. Si può infatti divorziare non per accedere ad una vita di libertà, ma perché, al contrario, è il legame contratto che non si è rivelato all’altezza di quanto si desiderava. Proprio perché l’altro si è rivelato troppo deludente, l’insoddisfazione è troppo grande e si vuole comunque avere ancora una possibilità di costruire che il percorso del divorzio appare percorribile.

Più matrimoni e più divorzi possono quindi rispondere allo stesso desiderio di costruzione, nel quale può risiedere tuttavia in molti casi anche una logica di non compromesso e di costante “non adattamento”. La crescita dei matrimoni potrà tornare ad essere una tendenza stabile solamente quando sarà radicata in una cultura della vita coniugale concepita come cammino, come un percorso nel quale si cresce, imparando ad accettare di essere perdonati e a perdonarsi.