NEW YORK — Le guerre indiane non sono mai finite. Ufficialmente sì, nel 1924 (neanche tanto tempo fa), ma i “native Americans”, gli originari abitanti di questo continente, su questa terra non hanno fatto altro che provare a difendersi, combattere, correre, fuggire, soccombere e morire per circa tre secoli filati. 



Troppo forte l’uomo bianco per opporvisi, troppo pressante ed incessante il suo avanzare verso il West alla ricerca di terre, fortuna e felicità. Felicità che di solito non coincideva con quella degli indiani che in quei posti avevano vissuto indisturbati da secoli. Si disturbavano solo tra di loro, con qualche schermaglia e qualche conflitto tribale, come è sempre successo a tutti gli uomini di tutti i tempi. Se venite a casa da noi troverete nel nostro American corner foto di “Indiani” ed una mappa del paese completa di tutte le sue numerosissime tribù che furono. Quelle che per generazioni hanno riempito la nostra fantasia attraverso una infinità di film e i racconti di Tex Willer. 



Ad un certo punto, in mezzo a tutte queste storie, letture e racconti, sarà capitato anche a voi di ritrovarvi dalla parte di Sioux, Apache e Cheyenne, a tifare per questi uomini legati carne e sangue alla loro terra e da essa sradicati dalla prepotente violenza dell’uomo bianco. Non si sa quanti ce ne fossero all’arrivo di colonizzatori e coloni, non si sa quanti ne sono stati uccisi. Quel che si sa è che a tutt’oggi esistono in Nord America 562 tribù ufficialmente riconosciute, per un totale di 3 milioni circa di persone, neanche l’1 per cento del totale della nostra popolazione. 



In questi giorni due tribù sono balzate alla ribalta dei media per aver dissotterrato il tomahawk, la scure di guerra. Nelle terre dure ed aspre del North Dakota i Sioux, gli abitanti delle praterie, i discendenti di Toro Seduto, Nuvola Rossa e Cavallo Pazzo, hanno inaspettatamente sconfitto la potentissima “Energy Transfer Partners” che era pronta ad investire quasi 4 miliardi di dollari nella costruzione di un oleodotto che avrebbe trafitto le loro terre sacre (e certamente introdotto seri rischi di inquinamento) con una ferita lunga 1.900 chilometri. 

Dalla riserva di Standing Rock la Lakota people, vestita come ai tempi che furono, ha cavalcato fino al luogo dove gli scavi stavano per profanare il sacro suolo, presidiandolo, difendendolo, sfidando la polizia, il Governatore Jack Dalryme ed evidenti interessi economici, ed ottenendo un’inattesa ed improbabile vittoria. Il genio militare ha infatti deciso che l’oleodotto dovrà seguire tutt’altra pista. Se non una guerra, almeno una battaglia i Sioux l’hanno vinta. 

Stesso inaspettato esito si è avuto sempre in questi giorni a nord dello Stato di New York dove i Moicani (Mohawks), tribù della nazione Iroquese, ha potuto finalmente abbattere la diga eretta più di un secolo fa sul fiume St. Regis, ricreando così le condizioni per tornare alle loro tradizioni di caccia e pesca che la diga aveva reso impossibili. 

Così anche i Moicani — che si portano sulla coscienza il peso di aver affiancato gli inglesi durante la guerra di indipendenza — registrano una vittoria e rinsaldano il legame con la loro terra. 

Come mai queste vittorie? Come mai proprio adesso? Gli indiani non sono riusciti praticamente a portare a casa niente di buono e di nuovo durante gli otto anni di amministrazione Obama ed ora, con un President Elect che non risulta essere particolarmente innamorato né di madre natura né delle minoranze etniche, ottengono due vittorie di fila? Trump ha appena nominato Rex Tillerman, ex Ceo della Exxon (la Mobil), a Segretario di Stato e Rick Perry Segretario dell’Energia. E pensare che l’ex Governatore del Texas durante la campagna elettorale del 2012 aveva proposto di eliminare quel Dipartimento… 

Due scelte nette, che almeno apparentemente lanciano un messaggio, indicano una possibile linea (dura) così come le altre scelte che il futuro presidente è andato inanellando tra generali in pensione e falchi della destra. Credo si debba tener conto di queste dinamiche in corso per comprendere queste improvvise ed inaspettate vittorie indiane. 

Il paese è alla finestra, e così anche gli osservatori politici, soprattutto quelli democratici che dopo essere stati presi a schiaffi dal risultato elettorale si sono fatti un po’ più guardinghi nell’azzardare giudizi (che tra l’altro è ormai ampiamente documentato che interessino ben pochi). Le proteste di strada contro il President Elect sembrano essersi calmate e tutti guardano con curiosità (e anche con timore e tremore) alle scelte che Trump va facendo. Guardano, ma tacciono; non perché intendano offrire a Trump il beneficio del dubbio, ma solo perché non vogliono rimediare altre figuracce. 

Tutto ciò, questo passaggio da un’amministrazione ad un’altra, questa attesa di un cambiamento che rimane ignoto nella sua forma e modalità (sempre che di cambiamento si tratti) crea come un “limbo”, una terra ed un tempo di nessuno in cui chi è stato al potere fino ad oggi non ha forza d’agire e chi al potere sarà non ha diritto ad interferire.

Nessuno si azzarda a fare mosse brusche, né il governo federale, né le amministrazioni locali. Cosi è avvenuto in Upstate New York ed in Dakota. Sioux e Moicani portano a casa una vittoria che né con il vecchio regime, né con il nuovo avrebbero potuto conquistare.

Saranno vittorie durature? La storia insegna che per ogni battaglia vinta gli indiani, dai Crow agli Apache, dai Nez Perce agli Oglala, hanno sempre dovuto pagare un prezzo pesante ed amaro perdendo ultimamente le loro guerre. Vedremo molto presto se i discendenti di Cavallo Pazzo si troveranno addosso la cavalleria degli uomini del nuovo grande capo bianco Capello Pazzo.