Bacco tabacco e venere riducono l’uomo in cenere, dice un proverbio antico ma, visti i cambiamenti, anche senza la rima bisognerebbe dire che in cenere ci riduce l’abitudine, che cancella ogni sorpresa. E il Natale è forse l’evento (si nomina così qualsiasi tipo di festa… anche se questa fa rima con avvento) più a rischio di abitudine, tanto che è ormai una prassi parlare di stress da regalo o di stress da pranzo. Ma dove ci siamo infilati mai? Sembra la Babele del consumismo moderno, che ha smarrito non solo il senso di una festa che sta al centro della cristianità, ma anche il motivo di un ritrovarsi. Che vestito mi metto? Che regalo posso fare a quello che ha già tutto? Quante portate dovrà avere il pranzo? Tutte domande legittime, ma è mai possibile che nessuno si chieda: “Cosa voglio comunicare a chi mi viene trovare?”. Perché allora cambia tutto e dalla rincorsa di una forma magari si passa alla sostanza, che vuol dire pensare davvero a chi viene a casa con noi per vivere una festa. Tolto che sui vestiti non ho grandi consigli, men meno sui regali per chi ha già tutto, resta la tavola. E qui le scelte devono essere chiare. Cominciano con escludere il pranzo di forma: tante portate, con i classici di sempre (l’abitudine appunto) tipo salmone e ananas per fare un esempio e molta quantità di portate. Ma in verità non siamo più nel dopoguerra, ed anche la mangiata forzata con le portate è da escludere. Anacronismo.



Da noi ha preso piede per troppo tempo, infatti il menu alla russa, con la sequenza di antipasto, primo, secondo e dolce; mentre l’attualità sta nel menù alla francese (e meglio alla moda dei Savoia), ovvero tutti i piatti in tavola e uno o due piatti di sostanza. E qui arriva il mio affondo: in tavola tanta verdura di stagione, cucinata in 10 modi (scegliete la zucca, la rapa, il topinambur e tutta la teoria di cavoli) compreso un paio di zuppe curiose su un braciere. E poi due piatti di sostanza della tradizione: una pasta ripiena in brodo, a seconda della regione di appartenenza, e il cappone, più o meno ripieno, ma anche bollito con la mostarda. Infine tanta frutta, magari tagliata e presentata in modo simpatico (la mela, la pera), sapendo che il profumo del mandarino resterà nella memoria per sempre come l’aroma del Natale. Infine il panettone, da abbinare a un vino dolce e frizzante, come il Moscato. Gli altri vini a tavola? Un Trentodoc per l’inizio con le tartine e le sfiziosità a tavola, un Dolcetto di Dogliani sui primi e un Vino Nobile di Montepulciano sul cappone.



Vien da chiedersi ora perché questo inserto di 10 tipologie di verdura. I motivi sono tanti di cui uno è culturale: niente come la frutta e la verdura di stagione ci riportano alla centralità degli esseri dentro a un ordine. E l’ordine è dettato dalle stagioni, che rischiamo di dimenticare. Evocare questo dono, che è la centralità dell’uomo sulla terra, è un pensiero (laico), che ci lega al Natale, e magari all’origine di tutto questo. 

Il secondo motivo è pratico, e riscrive i manuali di bon ton. A tavola può esserci più di una persona che soffre di patologie legate all’alimentazione, ma anche vegetariani o vegani. E quindi? Devono per fare outing davanti a tutti con tanto di battutine? Oppure devono sentirsi a disagio per ogni festa comandata cui sono invitati? Nulla di tutto questo, il menu alla francese, dove ognuno sceglie ciò che desidera e si porziona il cappone, toglie da questo imbarazzo. Ma lascia anche più spazio alla cuoca che sederà a tavola, mentre la sosta mangereccia si accorcerà. Anche perché non ci si ritrova soltanto per fare andar le mandibole vero? E se arrivasse un suonatore? Ecco il regalo che cercavamo per la persona che ha tutto (tranne la sorpresa). Buon Natale!



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