La pubblicazione dello studio sui Campi Flegrei su Nature sul rischio di unrest vulcanico ha risvegliato anche le preoccupazioni di chi teme una nuova devastante eruzione nell’area campana. Il complesso di crateri situato a nord-ovest della città di Napoli, infatti, in passato fu protagonista di quella che un gruppo di scienziati coordinato da Antonio Costa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) ha definito in uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports come “l’eruzione più devastante degli ultimi 200.000 anni in Europa”. Attraverso analisi dei dati archeologici e simulazioni, come riferito dall’Ansa, l’equipe di ricercatori è riuscita infatti a ricostruire la terribile eruzione verificatasi nell’area dei Campi Flegrei 39.000 anni fa che distrusse la Campania e provocò ingenti danni a diverse regioni del Meridione. Gli esiti della devastazione furono nefasti: in cielo si alzò una colonna di fumo alta 44 km che impedì ai raggi del sole di penetrare nelle zone oggetto dell’eruzione dando vita ad un inverno vulcanico che durò 2 anni. Per questo motivo in Europa le temperature arrivarono ad abbassarsi di 6-9 gradi e nel mondo di 2. “Per fortuna – ha spiegato Costa – eruzioni di questo tipo sono rarissime, ma studi come questo ci aiutano a prevedere che cosa potrebbe accadere nel caso di nuove eruzioni dei Campi Flegrei in futuro”. 



-Dopo l’allarme lanciato dallo studio pubblicato su Nature che mette in guardia dal possibile risveglio dei vulcani dei Campi Flegrei, è già tempo di capire quali sono gli effettivi rischi per le popolazioni situate alle pendici dei crateri campani. Ad occuparsi di monitorare costantemente l’attività delle bocche vulcaniche situate a nord-ovest di Napoli è in particolare l’Osservatore Vesuviano, il presidio scientifico facente parte della struttura dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. L’Osservatorio Vesuviano fornisce bollettini settimanali e mensili sull’attività dei Campi Flegrei, testimoniandone oltre che l’aspetto sismico anche quello inerente le eventuali deformazioni del suolo, la mareografia, la tiltmetria (inclinazione del suolo) e la geochimica dei fluidi, volti a verificare la temperatura del suolo e le emissioni di gas dai crateri. A tal proposito l’ultimo bollettino diramato dall’Osservatorio Vesuviano nel mese di novembre confermava il livello di “attenzione scientifica” instaurato nel 2012 pur confermando l’assenza di “deformazioni del suolo significative” e la presenza di parametri geochimici rientranti “nei trend già identificati in precedenza”. Allerta sì, dunque, ma allarme parrebbe di no.



Negli ultimi giorni si è tornato a parlare insistentemente dei Campi Flegrei, il complesso di vulcani, attualmente quiescenti, situato a nord-ovest della città di Napoli. A far sì che l’attenzione di diversi media nazionali e internazionali si concentrasse sull’area comprendente su un’area vulcanica che si estende per 15 km è stato un recente studio pubblicato su Nature e intitolato “Magmas near the critical degassing pressure drive volcanic unrest toward a critical state”. A condurlo sono stati i ricercatori Giovanni Chiodini, Antonio Paonita, Alessandro Aiuppa, Antonio Costa, Stefano Caliro, Prospero De Martino, Valerio Acocella e Jean Vandemeulebrouck, appartenenti all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e all’Université de Savoie. Dalla ricerca è emerso che il processo di ascesa del magma nella crosta, caratterizzato dalla progressiva perdita di pressione e dal rilascio di sostanze gassose, potrebbe comportare nuove eruzioni, rendendo di fatto nuovamente attivi i vulcani dei Campi Flegrei. Questa, però, rimane attualmente soltanto un’ipotesi, dal momento che il riscaldamento delle rocce in superificie, come ricordato dal coordinatore del lavoro Giovanni Chiodini, spesso causa “l’aumento della viscosità del magma che può portare all’esaurimento dell’unrest (risveglio vulcanico). Da qui la necessità di condurre “un’attenta analisi e interpretazione delle future variazioni dei segnali fisici e chimici monitorati sul vulcano e una ulteriore intensificazione delle attività di ricerca, da realizzarsi attraverso nuove progettualità dedicate ai Campi Flegrei” che “potrebbero permettere di stabilire la possibile evoluzione futura dell’unrest vulcanico”.

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