Torna a far discutere il referendum sul Jobs Act proposto dalla Cgil a luglio 2016 e sul quale le forze politiche si stanno adesso scontrando in vista della pronuncia della Corte Costituzionale prevista per l’11 gennaio 2017 riguardo la sua ammissibilità. Raggiunto da Radio Cusano, Pietro Ichino – senatore del Partito Democratico e famoso giurista – ha manifestato tutta la sua contrarietà al referendum sul Jobs Act, dicendo che “è contrarissimo al ritorno al passato che vuole la Cgil”. “Il quesito che ripristina l’art. 18 non sarebbe solo un ritorno alla formulazione originaria, ma lo estenderebbe anche alle imprese con non più di cinque dipendenti, dove questa ingessatura non è mai stata considerata praticabile (…). Sui buoni lavoro non capisco il senso del quesito, dato che almeno il 75% dei voucher vengono usati nei casi di lavoro accessorio. Probabilmente un abuso c’è ma il problema è di stanarlo per eliminare quel 10% di irregolarità”, ha concluso Pietro Ichino.
Nell’ultimo anno l’uso dei voucher è aumentato in maniera esponenziale e questo ha portato a pensare che se ne sia fatto un abuso. Sono molti i giuristi, che anche hanno appoggiato il governo di Matteo Renzi e il Jobs Act, che ritengono sia necessario fare un passo indietro. “Potrebbero essere espressamente esclusi alcuni settori, come l’edilizia. Bisogna impedire che i voucher vengano utilizzati al posto di contratti più stabili. Poche settimane fa, utilizzando i voucher, il Comune di Napoli ha promosso un piano di manutenzione del proprio patrimonio. Abbiamo esagerato”, ha detto al Corriere della Sera Maurizio Del Conte, presidente dell’Agenzia nazionale per il lavoro. Nel suo intervento a Radio Cusano, Pietro Ichino ha tenuto in considerazione i dati del 2015 per l’utilizzo dei voucher, il cui numero totale si attestava a 115 milioni, (e quindi non la crescita del 34,6% che ha invece interessato il 2016), e ha quindi ribadito la marginalità dell’utilizzo dei buoni lavoro. “115 milioni di voucher equivalgono a 115 milioni di ore di lavoro e sono l’equivalente di 60mila rapporti di lavoro a tempo pieno. Già oggi è un fenomeno marginale ed è impensabile che nella nostra società non ci sia un margine di lavoro accessorio per il quale non si può imporre l’attivazione di un rapporto di lavoro regolare”.