Era successo con la Brexit, è successo con l’elezione di Trump, e pure con l’ultimo spauracchio austriaco. I giornali, le tv non hanno capito nulla, non solo i sondaggisti. In Italia invece, la vittoria del No era temuta, così temuta che non se ne è voluto parlare, se non per accenni inquieti e scaramantici. Ma era prevista, si confessa il giorno dopo.
Mica tanto invece, anche da noi. Nessuno leggendo i giornali e guardando questi sette mesi di informazione televisiva e radiofonica avrebbe potuto immaginare la débâcle. S’era messo in campo di tutto, per indirizzare i cittadini. Il crollo dei mercati, la chiusura delle banche, Schäuble, Juncker, la Merkel, Obama, Standard & Poor’s, Goldman Sachs, e una serie di autogol inanellati uno dopo l’altro per far rotolare pericolosamente la pallina del No sul piano inclinato, e invece nulla, per i vari echi di Palazzo Chigi si trattava di preziosi endorsement che sicuramente avrebbero influito positivamente sul voto.
S’era messo in campo l’elenco di tutte le cose buone fatte, la Buona Scuola, il buon Jobs Act, il buon contratto in corner per gli statali, la buona casetta ai terremotati, di cui stanno arrivando solo i tubi da montare, ma tant’è. La disoccupazione che scende, ma per far salire il numero degli inattivi, il Pil che cresce, ma meno, troppo meno di tutti gli altri paesi dell’eurozona. E più si esplicitavano bugie sulla carta e sul video, più si pensava che la gente le prendesse per buone davvero. Intendiamoci, nessun manicheismo: quel che di buono s’è fatto va riconosciuto, e resta. Ma la propaganda esasperata e un po’ gaglioffa di troppi mesi stancava, nauseava e produceva proteste e rabbia, quando veniva sparsa illusoriamente a piene mani per riscaldare gli animi e dare slancio all’Italia che cambia.
E’ Renzi. Ma è grave che i colonnelli siano più ligi dei generali, e non parlo solo delle spalle cui s’è appoggiato in questi anni, spalle fidate di amici sicuri, spalle più incerte di amici improvvisati, che non sappiamo se reggeranno ancora. Parlo invece dei leader dell’informazione, dei direttori dei principali quotidiani cartacei e televisivi, degli inviati al seguito, che hanno scelto la linea del giornalismo embedded. Anticipando i desiderata, raccontando una faccia sola della medaglia, schierandosi apertamente in tutte le fasi di questa eterna e inutile campagna elettorale per una posizione sola, senza se e senza ma. Preferenza lecita, ma di parte, trattandosi di testate generaliste. Lecita, ma imprudente, perché poi è dura il giorno dopo raccontarsela e virare altrove, sfumare, incrociare ragionamenti e provare a capire segni che avrebbero ben prima dovuto essere capiti.
Le mancanze, gli errori dovuti a troppa reverenza, e si spera non richiesta, hanno prodotto due conseguenze gravi, ed evitabili.
La prima, più importante, lo scollamento assoluto tra l’informazione e l’opinione pubblica, la testa della gente. Qualcuno ha detto la pancia, ma non sempre l’istinto è fuorviante, talvolta annusa l’aria stagnante, e c’azzecca, sul fatto che bisogna aprire le finestre. Non si è capito come star vicino al paese in questa tornata elettorale, che pareva non interessasse nessuno, che pareva facile e scontata, che fino all’ultimo sembrava anche davanti all’evidenza potenzialmente vittoriosa. E se i media non capiscono la gente e quel che si muove in un paese, sono inutili, si capisce il calo di copie e di Auditel.
Seconda conseguenza, l’aver dismesso totalmente il ruolo socratico del tafano, nei confronti del premier e della sua maggioranza, non l’ha aiutato a quella necessaria umiltà che avrebbe potuto guidarlo con più saggezza e prudenza. Perché Renzi è il meglio quanto a preparazione politica e capacità, fiuto, intelligenza che il panorama mesto parlamentare abbia prodotto, da anni. E giocarsela così, la possibilità di fare la differenza, di ottenere la fiducia e prendere per mano il paese, è un vero peccato. Non si vedono sostituti paragonabili, a breve. Così, avere una stampa accorta, pungente, non pregiudizialmente ostile, ma neppure un’accolita di lacchè, avrebbe aiutato il premier a tenere i piedi per terra, a riconoscere i passi falsi e porvi rimedio, prima che fosse troppo tardi. Qualcuno ci ha guadagnato un posto da luogotenente, che si terrà per un po’. Ma a prezzo della dignità di un mestiere che ha nell’esercizio del dubbio, del giudizio senza paraocchi e superficiali innamoramenti il meglio della sua storia, della sua essenza e quindi del suo futuro.