E’ nata viva, nonostante l’aborto. E’ sfuggita alla morte quasi per sbaglio, per una serie di casuali coincidenze. E quel modo strano e improbabile di venire al mondo, dopo una lotta impari per resistere alla disintegrazione, alla corrosione dei suoi organi che si supponeva garantita nel giro di 24 ore per effetto della soluzione salina iniettata nell’utero materno, ha impresso un sigillo nel suo cuore, ha segnato tutti i suoi giorni.
Si chiama Gianna Jessen, ha 39 anni, è californiana la donna graziata da quella condanna a morte, da un’interruzione di gravidanza al settimo mese non riuscita. E continua a considerare un miracolo la sua sopravvivenza e il recupero di una vita quasi normale nonostante il “massacro” subìto e la previsione di gravissime invalidità prospettata dai medici. La sua esistenza è stata investita da un compito: raccontare, testimoniare che la vita è un dono, un dono incommensurabile e prezioso, indistruttibile perché concepito con un destino che, nonostante ogni contraddittoria apparenza, non dipende unicamente dalla volontà umana spesso insensata, violenta e devastante.
“Non sono definita da quello che mi è accaduto, dalla mia mamma biologica, questa mia storia è per la gloria di Dio” ha detto in questi giorni incontrando platee di varie città italiane dove è stata invitata a lanciare il suo messaggio. Nei numerosi incontri organizzati da ProVita con altre realtà associative in diverse città italiane — a Como, Verona, Trento, Formiglione, Modena, Loreto e Ascoli Piceno — la comunicazione della Jessen è parsa dirompente come il travaglio dal quale è uscita viva: la sua battaglia, puntuale e persino agguerrita contro l’aborto che salvaguarda il diritto delle donne dimenticando quello dei nascituri totalmente inermi, utilizza un’arma infallibile, un’evidenza semplice e incontestabile come la sua faccia, la sua risata, il suo tenersi in equilibrio con passi lievemente vacillanti.
Durante il suo tour italiano Gianna ha messo in luce i tanti segni affiorati nella sua vicenda come lampi di un bene misterioso, di una volontà sconosciuta che desiderava che lei venisse al mondo. Al momento del suo parto era infatti assente il medico che altrimenti avrebbe completato la sua soppressione con uno strangolamento o in qualsiasi altra modalità comunque ammessa dalla legge allora in vigore. E altrettanto provvidenziale è stata l’amorevole accoglienza di una “nonna adottiva” che l’ha salvata dall’abbandono: “Mi ha abbracciata come una vera mamma, è stata responsabile della salvezza del mio cuore” ha raccontato descrivendo le cure assidue, le ore di fisioterapia che le hanno consentito di camminare e persino di partecipare a una maratona, l’affetto che le ha fatto percepire la bellezza della vita abitata dalla presenza di Dio. “Accogliendomi mi ha insegnato ad amare, mi ha insegnato che nessuno può dire qual è il tuo destino, qual è il tuo valore… Non mi parlava di Gesù, ma attraverso tutto il suo modo di agire e di vivere me lo ha fatto conoscere”.
Gianna Jessen ha concentrato il suo racconto sullo scorrere di giorni difficili e dolorosi, rischiosi come un’arrampicata a mani nude su una roccia ripida, ma affrontati con la grande certezza che l’amore può tutto, può vincere anche la morte. A lei è accaduto proprio così: “I medici avevano previsto che non sarei riuscita neppure a stare in piedi, che non avrei mai potuto camminare, vedere, ascoltare, parlare…invece non è andata così”. Lo ripete, e le viene da ridere mentre si sofferma su situazioni sempre paradossali che lasciano aperte ferite inguaribili insieme alla sorpresa della gratitudine: “Non ho scelto di essere una vittima, ma di essere vittoriosa” dice indicando la sovrabbondanza d’amore che da sempre sostiene il suo cammino anche nei tratti più faticosi. “Tante persone oggi non sono educate alla fede, non conoscono Gesù e non vogliono sentirne parlare… La gente oggi non si sente voluta bene ed è questo che porta a un’amarezza nei confronti della vita”.
Il messaggio pro-life della giovane donna che si definisce “la bambina di Dio” e gira il mondo per testimoniare che nessun dolore e nessuna fragilità possono sminuire il valore di un’esistenza, ha suscitato una straordinaria attrattiva. E ha conquistato soprattutto i giovani, toccati da un linguaggio concreto, inerente alla vita di tutti i giorni, ai problemi e alle frustrazioni che spesso sfociano in una delusione sterile, in inquietudini senza luce. Hanno avvertito uno sguardo diverso sul loro vivere incerto, sulla paura di non essere all’altezza dei propri compiti e desideri e si sono sentiti incoraggiati a riprendere la loro avventura umana come un dono da scoprire che nessuno può etichettare come imperfetto, di seconda scelta. E si sono ritrovati, con convinzione tutt’altro che eterea o scontata, totalmente dalla parte della vita, da riconoscere, difendere e custodire in ogni istante, fin dalla sua prima scintilla.