Ha suscitato un putiferio la notizia che tra le 70mila classi delle scuole secondarie italiane che hanno partecipato al concorso indetto dal Miur al Salone del libro di Torino per individuare i libri più amati dagli studenti italiani, dieci hanno scelto Mein Kampf, l’autobiografia in cui Hitler espone il suo progetto. Subito sono scattate le indagini del ministero per chiarire la dinamica della vicenda.



Per ora non si esclude nessuna ipotesi, compresa quella della provocazione di sapore goliardico (che a me, a dire il vero, sembra intanto la più verosimile, una bravata un po’ pesante buttata lì per farsi beffe di un mondo adulto percepito come estraneo). Ma prendiamo per buona l’ipotesi che queste dieci classi abbiano davvero tra i loro libri preferiti il breviario del nazismo. Che cosa mi dice un fatto così?



Beh, in primo luogo, che sono dieci su 70.107. Vuol dire che 70.097 classi guardano altrove. Non è un cattivo risultato, mi pare. Che cosa hanno scelto gli altri? Il libro di gran lunga più votato è stato Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro D’Avenia. Che cosa dice questa scelta? Che i ragazzi di oggi sognano ancora un amore vero. Secondo si è classificato Io non ho paura di Niccolò Ammanniti, terzo Gomorra di Roberto Saviano. Che cosa ci dicono? Che i ragazzi di oggi sognano una vita coraggiosa, che si entusiasmano per un impegno che cerchi di rendere migliore il loro Paese. 



Non sono — specie la prima — scelte scontate. Dicono che i ragazzi di oggi, per quanto male troppo spesso ne parliamo, sono come quelli di ieri: inseguono un ideale che renda la vita degna di essere vissuta. E se non lo trovano, se gli adulti che hanno davanti non sono in grado di proporne uno interessante, coinvolgente, appassionante, ne possono scegliere uno degenerato. 

Noi siamo facili a scandalizzarci, ma un grande cantautore, Claudio Chieffo, avvisava tantissimi anni fa in una canzone, che — guarda caso — si intitola La nuova Auschwitz, che “non è difficile essere come loro”. Un film del 2008, L’onda, ha dato notorietà mondiale all’esperimento realizzato negli anni Sessanta negli Usa da un docente che, per far capire ai suoi studenti come fosse facile farsi irretire da un’astuta propaganda, aveva fondato lui stesso a scuola un movimento autoritario, al quale ben presto molti avevano aderito con convinzione.

I ragazzi hanno bisogno di un ideale, di uno scopo interessante, di una ragione grande per cui valga la pena spendere la vita. Se non siamo in grado di dargliene uno autentico, ripiegano su quelli adulterati. Poi ci possiamo scandalizzare, possiamo mandare delle ispezioni, magari prenderemo anche provvedimenti contro gli insegnanti che non si sono opposti (salvo errori, a inserire nel computer i risultati delle scelte degli alunni sono stati i loro docenti). 

Ma non è con lo scandalo, con la forza, con la “vigilanza democratica” che risolveremo il problema. Anzi: sappiamo bene come accanirsi contro una posizione facilmente susciti una reazione contraria, una corrente di simpatia che magari resterà sotterranea ma non per questo sarà meno tenace e dannosa. La sfida è sempre quella: proporre ai nostri ragazzi qualche cosa di più bello, di più grande, di più vero. C’è lavoro per tutti.