— La stanza è angusta, foderata di legno, temprata dall’aria condizionata. Fuori i 28 gradi dell’Avana, dentro il calore generato dall’emozione. Si fa la Storia, con tempi protocollari scelti dopo attenti confronti. I due vecchi entrano all’unisono, come impegnati in un minuetto, non si lanciano l’uno nelle braccia dell’altro, ma si attendono pazienti, consapevoli dei secoli di ritardo. Uno è in bianco, l’altro ha solo la testa candida di velo, macchiata d’oro. Si prendono per gli avambracci e si avvicinano, consapevoli e sereni. Dietro, un crocifisso di legno e due sedie identiche. Si accolgono, senza soppesarsi. E’ la prima volta che si vedono. Ed è tutta lì la straordinarietà dell’evento. Tutto è nella prima parola pronunciata da Francesco. Finalmente. Dopo secoli di separazione l’abbraccio tra il patriarca di Mosca e il successore di Pietro scioglie la Storia, la rende duttile alla volontà di due uomini che hanno mostrato di sapersi guardare come fratelli.



Somos Hermanos, sottolinea il Papa, “siamo fratelli”, “ora le cose sono più facili” gli risponde Kirill. E l’affermazione dell’ortodosso sembra confermata da ciò che accade nella saletta dell’aeroporto José Martí dell’Avana. Nell’improbabile scenario cubano prende forma una nuova stagione ecumenica, bagnata dal sangue dei martiri, e saldata dalla nuova amicizia tra i due protagonisti. Rilassato e straordinariamente a suo agio Francesco, che si protende verso l’interlocutore più rigido nelle vesti ma ugualmente certo che quanto sta accadendo “sia la volontà di Dio”. 



Dopo le prime battute pubbliche un colloquio di due ore filtrato dagli interpreti russo-spagnoli e raccontato poi dagli stessi anziani leader. “Abbiamo parlato chiaramente senza mezze parole e io vi confesso che ho sentito la consolazione dello Spirito, in questo dialogo”, dirà Francesco al termine dell’incontro, prima di ammettere che tutto si è compiuto per la Gloria di Dio. 

Poco prima la firma di una dichiarazione congiunta. Un testo lungo e articolato, 30 paragrafi sapientemente limati, in cui si lancia un messaggio forte contro la persecuzione dei cristiani nel mondo. Un documento da cui emerge la consapevolezza che dalla capacità di “dare insieme testimonianza in tempi difficili dipende il futuro dell’umanità”. E’ l’urgenza posta dal grido dei fratelli e delle sorelle sterminati in Siria, Iraq, e in tutto il Medio Oriente. Uomini e donne costretti alla fuga da guerra civile, terrorismo e caos. Kirill e Francesco, insieme per la prima volta, supplicano la comunità internazionale di agire per porre fine alla violenza. ma soprattutto ricordano che non si possono compiere “crimini nel nome di Dio”. 



La dichiarazione non è solo dettata dal dolore per il martirio di testimoni coraggiosi del Vangelo, c’è anche la preoccupazione per l’aggressività del secolarismo, per l’emarginazione dei cristiani dalla vita pubblica, per il destino di tanti migranti che bussano alle porte dell’Europa e per la crisi della famiglia che si registra in tanti paesi del vecchio continente. 

La sintonia sui temi della vita e della sua tutela è totale, come pure il richiamo a costruire la pace in Ucraina. Persino lo spinoso nodo dell’uniatismo e delle comunità ortodosse passate a Roma nei secoli scorsi viene ricompreso in una logica di riconciliazione e di reciproco perdono. Deve essere costato molto alla parte ortodossa il passaggio in cui si afferma che le comunità ecclesiali apparse in particolari circostanze storiche hanno “il diritto di esistere e di intraprendere tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze spirituali dei loro fedeli”.

Al di là dei grassetti di cui analisti e osservatori puntelleranno il testo per capire la genesi degli equilibrismi tattici, è indubbio che il documento costituisce una base forte per il progressivo avvicinamento tra cattolici e russo-ortodossi. Eppure, paradossalmente, la dichiarazione potrebbe anche non esserci: tutto era già contenuto in quel primo, cercato, voluto, atteso storico abbraccio. E’ la fattualità dell’incontro che preme a Bergoglio, l’accadere di un’amicizia, il riconoscersi fratelli. E’ lo sguardo di Kirill su di sé che desiderava. L’ha trovato e gli basta. 

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