C’è stato un momento in cui ho provato una tenerezza infinita per l’anziano pontefice in missione in Messico. È stato quando si è accasciato con tutto il peso degli anni e della fatica di questi giorni, sovraccarichi di emozioni e storia, su quella sedia, nel “camerin”, la stanza dove è conservata l’immagine della Vergine di Guadalupe. Era lì, di fronte alla Madre, sotto i suoi occhi, a guardare e lasciarsi guardare.
Cosa prova un figlio quando finalmente ritrova il volto della mamma? Quanti di noi almeno una volta nella vita, hanno smesso di respirare lasciandosi inondare dalla sguardo più amato, quello colmo di tenerezza e comprensione, che non ci scruta perché conosce ogni molecola del nostro niente? Andare dalla Virgen da figlio vuol dire questo. Tornare a casa, abbandonarsi su una sedia e rimanere muti perché chi è di fronte sa già tutto di noi. Lo ha detto bene il Papa leggendo un inno liturgico di rara bellezza. “Guardarti semplicemente – Madre – tenendo aperto solo lo sguardo; guardarti tutta senza dirti nulla, e dirti tutto, muto e riverente”.
E così ha fatto Francesco, rimanendo in silenzio, per 20 minuti, privilegio da Papa, davanti all’immagine della Morenita. Una solitudine preziosa ritagliata in un viaggio affollato di impegni, volti, parole, eventi. “Non turbare il vento della tua fronte; solo cullare la mia solitudine violata nei tuoi occhi di Madre innamorata e nel tuo nido di terra trasparente”. Anche un Papa ha bisogno dello sguardo della Madre, della tenerezza del suo abbraccio, di far riposare il suo cuore nel grembo che custodisce dolori e gioie, croci e desideri.
Fuori la basilica nuova di Guadalupe e il vecchio santuario erano assediati dai fedeli. Per ore nel pomeriggio terso guadalupano avevano atteso il successore di Pietro con canti e cori da stadio. Le campane a festa avevano accompagnato lo scivolare veloce della papamobile, la salita al monte Tepeyac, l’ingresso festoso nell’area che è il cuore della fede messicana e della devozione mariana continentale. Poi il primo incontro, da lontano, subito dopo l’ingresso di Francesco nel santuario, tra il figlio e la Madre, tra l’amante e l’amata. Ma non c’era tempo per contemplarsi. Doveva ancora risuonare nel santuario moderno, il Vangelo della visitazione. Un brano, avrebbe detto poi Francesco, che nella casa della Vergine ha un sapore speciale. Maria è la donna del sì che ha voluto visitare l’America e i suoi popoli, la donna meticcia che è apparsa all’indio Juan Diego.
Maria accompagna, è abituata. L’ha fatto con l’anziana cugina così come ha accompagnato la “gravidanza” della terra messicana. Si fa presente a coloro, che come Juan Diego, sentono di non valere nulla, ha detto il Papa durante l’omelia della sua prima celebrazione liturgica in Messico.
Con Lei Dio ha risvegliato e risveglia la speranza dei più piccoli, dei sofferenti, degli sfollati e degli emarginati, di tutti coloro che sentono di non avere un posto degno in queste terre. Il suo sguardo non abbandona nessuno. Juanito, ha raccontato Bergoglio, ha sperimentato nell’incontro con la Virgen, la speranza e la misericordia di Dio, e così si è fatto costruttore di un santuario, sebbene illetterato e senza mezzi.
A Gaudalupe tutti comprendono di essere necessari, anche quelli che non contano, che non sono “all’altezza delle circostanze” o non “apportano il capitale necessario”. A Guadalupe tutti acquistano la consapevolezza di poter costruire il santuario della vita. I dimenticati, i sofferenti, gli emarginati scoprono il valore del proprio niente, riempito dal tutto di Dio. E il miracolo avviene guardando negli occhi la Madre.
Osservare il volto di Papa Francesco assorto di fronte la Virgen, il suo profilo incorniciato da quel legno che prima coronava l’immagine che sintetizza meglio di ogni altro concetto o idea l’identità latinoamericana, è stata una lezione di teologia. Di quella che come il cardinale Bergoglio sottolineava ad Aparecida, nella conferenza dell’episcopato latino americano del 2007, è impastata della fede semplice dei poveri. “Guardarti, Madre; contemplarti appena, il cuore tacito nella tua tenerezza, nel tuo casto silenzio di gigli”. Francesco davanti alla mamma, con il cuore colmo di gratitudine per gli ultimi eventi, ma gravato dal dolore assorbito in poche ore a contatto con una delle realtà più complesse e violente dell’intero continente. Francesco che finalmente può riversare i pensieri più profondi nel cuore di Maria. Ancora oggi pare di sentirla, la voce della Madre, come quando parlava a Juan “Che c’è figlio mio, il piccolo di tutti? Che cosa rattrista il tuo cuore?” “Non ci sono forse qui io, che ho l’onore di essere tua madre” (Nican Mopohua), Nei dialoghi tra l’indio e la Madonna meticcia, c’è l’essenziale della teologia mariana. Lo sa bene Francesco.
Forse il momento più difficile è stato quello strappo, alla fine. La risoluzione ad alzarsi, chiudendo l’interminabile pausa in cui aveva messo la sua visita, per riprendere la corsa. Una lacerazione dare le spalle a quello sguardo in cui tutti, pontefici e indios, uomini e donne, cardinali e accattoni, possono riposare. Ma la bellezza della fede è sapere che quello sguardo continua ad accompagnarti.