Dopo 29 anni dall’omicidio ancora irrisolto di Lidia Macchi, qualcosa finalmente sembra muoversi dando alla famiglia della giovane vittima la speranza che possa essere fatta giustizia sulla sua morte. L’ultima novità è rappresentata dal sequestro del Parco Mantegazza, a Masnago. A portare a questa possibile svolta sarebbe la testimonianza di Patrizia B. la quale, oltre a fornire dettagli importanti sulla grafia di Stefano Binda avrebbe aggiunto un altro particolare decisivo. La teste, infatti, aveva raccontato di aver accompagnato pochi giorni dopo la morte di Lidia lo stesso Stefano all’altezza di Parco Mantegazza. Binda sarebbe sceso dall’auto con un voluminoso sacchetto di carta per poi fare ritorno a mani vuote. Cosa conteneva il sacchetto? In base a quanto scrive oggi LaPrealpina.it, l’uomo potrebbe aver sotterrato il coltello con il quale uccise Lidia Macchi il 5 gennaio del 1987. Secondo lo stesso quotidiano, infatti, Stefano Binda, presunto assassino ed ora in carcere a San Vittore, il giorno in cui si recò nel parco avrebbe avuto tutto il tempo di lasciare il sacchetto contenente l’arma in un cestino o, come sostiene la Procura, di sotterrarlo facendolo così sparire per oltre 29 anni.



Non ci sono particolari novità sul caso di Lidia Macchi ma forse potremmo essere alla vigilia di una svolta: è stato infatti posto sotto sequestro il luogo del delitto dove appunto 29 anni fa la giovane ragazza varesotta perse la vita dopo esser stata violentata e accoltellata. Il parco Mantegazza, in provincia di Varese, è dunque ora chiuso dopo 30 anni per cercare indizi e prove che potrebbero dare quella svolta forse decisiva nel caso di omicidio. Intanto è sempre in carcere l’ex compagno di scuola, Stefano Binda, anche egli in attesa degli sviluppi delle indagini e del prossimo processo per comprendere quale futuro lo attende, mentre continua a dichiararsi innocente. Stando ad un testimone riportato su TgCom24, Binda si sarebbe fatto accompagnare poco dopo l’omicidio nel paro dove, secondo gli inquirenti, potrebbero aver nascosto le prove. Resta da capire chi sia questo testimone e sopratutto perché, se è vero tutto ciò, ha aspettato 30 anni prima di parlare; mentre il parco rimarrà sotto sequestro fino al 26 febbraio, sono state convocate dal gip di Varese, Anna Giorgetti, sei persone per essere ascoltate come testimoni dell’udienza.Tra questi Patrizia Bianchi, teste decisiva sulla calligrafia di Binda, artefice della svolta nelle indagini dopo 30 anni, don Giuseppe Sotgiu che all’epoca aveva fornito un alibi a Binda e la sorella di Lidia, Stefania Macchi.

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