Un personaggio sempre enigmatico, un filosofo dimenticato, Giordano Bruno è evidentemente segnato nella mente di molti come il condannato al rogo per eresia e morto arso vivo 416 anni fa: oggi è l’anniversario della morte di questo strano pensatore di cui tanti dicono ma ben pochi sanno. Interessante però è vedere come anche mezzo millennio dopo, oggi, si celebra e ricorda questa strana figura: viene giusto oggi presentato il nuovo album Scansadiavoli di Rocco Rosignoli, cantante e cantautore parmigiano, con la traccia dal titolo proprio “Giordano Bruno”. Inquieto e geniale, ribelle e cosmopolita, Bruno emoziona anche oggi e pone spunti interessanti a livello culturale e anche religioso: «la figura di Giordano mi affascina da sempre, a lui avevo dedicato una delle prime canzoni che scrissi, a sedici anni, era una cosa giovanile, non l’ho mai cantata in pubblico», come racconta a Parma Today lo stesso Rosignoli.Un artista emergente che ricorda un filosofo morto 416 anni fa: la cultura è anche questo, un continuo scambio e scontro di idee: questo dovrebbe essere sempre e l’interesse del passato potrebbe allora sì crescere come parallelo agli sviluppi moderni.
Il 17 febbraio di 416 anni fa moriva arso sul rogo a Compe dei Fiori a Roma il frate domenicano Giordano Bruno, arrestato e condannato dal tribunale dell’inquisizione per eresia. Nato a Nola nel 1548, Giordano Bruno sosteneva che la grandezza di Dio andasse ricercata nell’infinità dell’Universo. In questa sua filosofia panteistica Dio e la Natura si fondevano in un’unica realtà e dall’infinità del cosmo si deduceva la pluralità dei mondi. Le affermazioni di Giordano Bruno sull’infinità dell’universo e le sue convinzioni sulla Sacra Scrittura, sulla Trinità e sul Cristianesimo gli valsero prima la scomunica e poi il carcere: giudicato eretico dal tribunale dell’inquisizione venne infine condannato al rogo. Le sue idee sull’universo lo fanno considerare da molti un precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come ad esempio il multiverso. Giordano Bruno era diventato frate domenicano nel convento di San Domenico Maggiore a Napoli all’età di 15 anni. Il frate aveva poi abbandonato gli abiti domenicani nel 1576 tornando a farsi chiamare Filippo, suo nome di battesimo. Nella sua fuga, Giordano Bruno aveva toccato diverse città italiana e anche paesi stranieri come Francia, Germania, Inghilterra e Svizzera. L’Inquisizione lo trovò a Venezia la sera del 23 maggio 1592, dove venne incarcerato. Inutile la difesa messa in campo da Bruno e inutile anche il perdono da lui chiesto per gli errori commessi: nonostante fosse disposto a ritrattare, Bruno venne condotto nelle carceri romane del Palazzo del Sant’Uffizio e lì forse torturato per anni. Il 12 gennaio 1599 gli venne chiesto di abiurare otto proposizioni eretiche ma, nonostante l’abiura e la richiesta del perdono, l’8 febbraio venne emessa la sentenza che lo dichiarava eretico. Il 17 febbraio venne quindi condotto a Campo dei Fiori, dove venne denudato, legato a un palo e arso vivo. Secondo il filosofo Caspar Schoppe, Giordano Bruno al termine della lettura della sentenza si rivolse ai giudici con queste parole: “Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla”.