Oltre al gravissimo indizio della poesia anonima “In morte di un’amica”, attribuita al presunto assassino di Lidia Macchi, un altro particolare andrebbe ad incastrare Stefano Binda, sul quale le indagini si sono concentrate dallo scorso settembre. A rendere nota l’ultima clamorosa news sul caso tornato alla ribalta dopo 29 anni, è stato il settimanale Giallo che nel suo ultimo numero ha messo alcune frasi scritte dallo stesso Stefano Binda – ora in carcere – su una sua agenda proprio nei giorni dell’omicidio di Lidia. “Stefano è un barbaro assassino”, “Caro Stefano sei fregato”, “Che cosa ho fatto?”, ed ancora, “Ciò che la notte amara ispirò tra i singhiozzi, mano pietosa all’alba (di speranza o promessa, anche solo) distrugga. Ho distrutto tutto, giuro”. Sono queste alcune delle frasi riportate nell’agenda e che potrebbero apparire oggi come una vera e propria confessione. Questi scritti sono stati conservati da Binda con cura per quasi 30 anni. Racchiudono la verità sulla sua responsabilità nel delitto di Lidia Macchi?
Continuano le indagini sul caso di Lidia Macchi, la giovane uccisa 29 anni fa in un parco in periferia di Varese dove stanno proseguendo le ricerche dell’arma del delitto dopo che il caso è stato riaperto poche settimane fa con l’arresto di Stefano Binda, amico ed ex compagno di scuola della giovane ragazza trucidata. Intervistato da Il Giorno, parla l’ex capo della Mobile di Varese, Giorgio Paolillo che prova a ricostruire le prime ore dei fatti di trent’anni fa, come in sostanza nacque il caso Macchi. «Giorgio Macchi telefonò alle undici di sera del 5 gennaio 1987, la figlia non era rincasata per cena come aveva promesso. Era già stato in ospedale a Cittiglio, da Paola Nodari, l’amica ricoverata a cui Lidia aveva fatto visita, aveva saputo che era uscita dall’ospedale verso le 20.20. Chiamammo gli ospedali, furono avvertite le altre centrali operative e i carabinieri e il giorno dopo il padre formalizzò la denuncia di scomparsa». Il ritrovamento terribile fu fatto la mattina del 7 gennaio, dopo qualche ricerca purtroppo venne scoperta accoltellata e violentata in un boschetto, nel Parco Mantegazza. «Giorgio era venuto da me verso le 9, mi informò che gli amici di Lidia si erano messi alla sua ricerca con una decina di auto, mi arrivò la chiamata dalla centrale operativa, era stata ritrovata. Mandai a casa Giorgio, che forse capì, sul posto c’erano tre degli amici di Lidia, spaventosissimi. Quando avevano visto la sua Panda avevano chiamato la polizia e il cadavere era coperto con del cartone. Attorno niente sangue, ce n’era una macchia sul sedile del passeggero». Da quel momento in poi purtroppo è tutto molto confuso, anche oggi che abbiamo in carcere un accusato e indagato per quell’orribile fatto: nulla è ancora certo, e Stefano Binda potrebbe anche non essere l’assassino.