Dopo le prime operazioni di ricerca avvenute nel parco Mantegazza di Varese, incentrate nel reperimento della possibile arma del delitto di Lidia Macchi, in base alle ultime novità rese note dal quotidiano Il Giorno, sarebbe stata annunciata una nuova intensa settimana dedicata alle ulteriori ricerche. Il sequestro dell’area sarebbe così stato prorogato di alcuni giorni per il proseguimento delle operazioni già iniziate lo scorso 15 febbraio e sarà attivo fino alla fine della prossima settimana. L’obiettivo degli investigatori è quello di rintracciare, oltre all’arma usata dall’assassino di Lidia Macchi anche altri elementi utili alla chiusura definitiva del caso. Finora, dalle ricerche eseguite nel parco di Masnago sarebbero stati rinvenuti alcuni coltelli e un falcetto, arrugginiti e trovati sotto terra. Gli oggetti sono stati posti sotto sequestro ed il prossimo lunedì il sostituto procuratore Manfredda affiderà ad un antropologo forense il compito di analizzare tutto il materiale rinvenuto nel parco nel quale Stefano Binda, presunto assassino di Lidia Macchi, avrebbe potuto occultare l’arma del delitto.
Siamo alla vigilia di una ennesima svolta nel caso di Lidia Macchi? O siamo in procinto di un altro spiacevole buco dell’acqua? Le indagini sono ad un punto di mezza svolta dopo che le ricerche di queste ultime settimane nel parco Mantegazza di Masgnago, alle porte di Varese, hanno portato al ritrovamento di sei coltelli e un falcetto nascosti in alcuni sacchi sotto il terreno. Verranno ora analizzato da un antropologo forense nominato dal sostituto pg di Milano, Carmen Manfredda, che ora è il titolare delle indagini. Lunedì il magistrato darà incarico ufficiale e dunque cominceranno le indagini per accertare se alcuni di questi oggetti siano veramente l’arma del delitto che si cerca da 29 anni per uno dei casi più complessi e ancora irrisolto da tre decenni. Da queste analisi potrebbe essere scarcerato Stefano Binda oppure ricevere la prova definitiva, con il suo dna sopra, della sua colpevolezza.
Nelle ultime settimane si è tornati a parlare di un cold case relatico all’omicidio di Lidia Macchi, avvenuto 29 anni fa e che proprio nei mesi scorsi ha subito una svolta importante con l’arresto di Stefano Binda, ritenuto il suo assassino. Le indagini sono così riprese portando anche al sequestro del parco Mantegazza di Masnago dove secondo una testimone Binda avrebbe lasciato pochi giorni dopo il delitto un sacchetto con contenuto misterioso. Qui, i militari incaricati di setacciare la zona alla ricerca di elementi importanti ai fini delle indagini, avrebbero rinvenuto un coltello con lama di 10 centimetri e una larghezza di 2 centimetri. Secondo il settimanale Giallo, potrebbe essere l’arma con la quale l’assassino avrebbe ucciso la povera Lidia Macchi. Oltre al coltello, i militari avrebbero ritrovato altri oggetti che potrebbero essere legati al delitto avvenuto quasi 30 anni fa. Ma come mai si è giunti a questo punto importantissimo delle indagini su Lidia Macchi? Il merito sarebbe di una donna, Patrizia Bianchi, oggi 45enne e che un anno fa, dopo aver visto su un giornale la lettera anonima inviata alla famiglia di Lidia Macchi il giorno del suo funerale, riconobbe e attribuì la scrittura a Stefano Binda. Ma la Bianchi si rese testimone di un altro evento legato al presunto assassino di Lidia, al quale era molto legato. Pochi giorni dopo il delitto della studentessa, Binda passò a prenderla in auto. La donna raccontò agli inquirenti di essersi accorta della presenza di un sacchetto di plastica sotto il sedile del passeggero. “Gli chiesi cosa fosse: sembrava pesante. Lui mi diffidò dal toccarlo”. Una volta giunti nei pressi del parco di Masnago, Binda scese dall’auto portando con sé la misteriosa busta e facendo ritorno senza nulla in mano. Il sacchetto conteneva davvero l’arma del delitto? Gli inquirenti hanno voluto rispondere al dubbio di Patrizia e potrebbero aver ottenuto importanti risultati.