Ritorna nelle pagine di cronaca la vicenda della dodicenne di Pordenone che ha tentato il suicidio a causa del bullismo di alcuni suoi compagni. Ora, grazie agli interrogatori, si sa qualcosa di più del clima instaurato in una seconda media da due alunni in particolare, un italiano e uno sloveno e che sarebbe la causa scatenante del gesto della ragazza. Ora si viene a conoscere che gli insegnanti avevano più volte segnalato in consiglio di classe, cioè in un ambito ufficiale della scuola con tanto di verbale, il clima di indisciplina instaurato dal comportamento dei due bulli, che in piena lezione si permettevano notevoli iniziative di disturbo. Strano che alla rilevazione dei fatti non sia seguito nessun provvedimento disciplinare, nessun avviso alle famiglie nel tentativo almeno di arginare i soprusi. I quali, si è scoperto grazie al gesto estremo della compagna di classe più tartassata, erano anche personali e non riguardavano solo lei, ma anche altri allievi, sebbene in misura minore e con conseguenze meno gravi.



Certo è una bella sconfitta per la scuola tutta, per la dirigente scolastica, per gli insegnanti, per le famiglie e anche per gli studenti che sia verificato un episodio di questo genere. Non è facile combattere con la subdola violenza di ragazzini prepotenti. Chi abbia avuto in classe almeno un allievo di questo genere, sa bene che la lotta è quotidiana ed esasperante, perché il ragazzo disturbato diventa poi spesso cattivo e si crea degli alleati nella classe per far la guerra all’insegnante preso di mira. Ma si può e si deve intervenire. Per sé, per lui, per la classe intera. Qui sembra che ciò non sia avvenuto, che ci si sia fermati alla segnalazione di un problema disciplinare, senza cercare di capirne le cause e soprattutto senza mettere in atto iniziative di contrasto e di correzione che sono previste anche dalla blanda normativa e dalla ancor più blanda prassi invalsa da molti anni nella scuola italiana. 



La giovane età di un ragazzo, aperta alle cose belle e grandi che gli sono proposte, anche dalla scuola, corre il rischio di inacidirsi e talvolta di diventare cattiva, se viene lasciata a se stessa, per esempio lasciando correre atti, gesti, parole che turbano l’ora di lezione e la sensibilità dei compagni. Quale patto educativo è mai quello in cui non si comunichino all’adulto le angherie subite, gli scherzi cattivi, le frasi che feriscono più dei coltelli e che a lungo andare creano assenza di autostima e vuoto?

“Maxima debetur puero reverentia” dicevano i Romani, dando prova di una civiltà matura, almeno nei principi. Ma questo rispetto non è stare a distanza, è attività, è ascolto anche delle cose non dette, è guardare i ragazzi con la consapevolezza che la loro giovane vita è una creta plasmabile per farne una cosa bella. Chissà perché la scuola deve essere così noiosa da spingere a cose stupide che facciano sentire vivi! Don Bosco, il santo dei giovani, aveva come metodo educativo quello di farli stare sempre allegri. Le nostre ore di lezione sono piene di gioia di imparare, richiedono la serietà dell’impegno, facilitano la collaborazione e la familiarità, impongono il silenzio e l’attenzione di cui si nutre ogni lavoro?