Con la richiesta di riesumazione del corpo di Lidia Macchi, depositata dal gip di Varese e firmata dal sostituto procuratore Manfredda, si dà ascolto al consenso della famiglia della giovane vittima, consegnato la scorsa estate. A riportarlo è il quotidiano La provincia di Varese, che sottolinea l’enorme dolore dei parenti di Lidia i quali continuano a lottare affinché la verità sul delitto che coinvolse 29 anni fa l’amata figlia possa finalmente venire alla luce. “Se sei stato tu confessa e liberati la coscienza. Risparmiaci il dolore della riesumazione”, con queste parole la madre di Lidia Macchi, Paola Bettoni, rivolgendosi a Stefano Binda si era espressa subito dopo il suo arresto. Un appello accorato, al quale però non era giunta alcuna risposta da parte del presunto assassino ora in carcere e che dallo scorso 15 gennaio continua a ribadire con forza la propria innocenza. L’avvocato della famiglia Macchi aveva ritenuto la riesumazione del corpo di Lidia come “ultima possibilità per verificare l’esistenza di elementi che possano portare alla verità”. L’intento è quello di non lasciare nulla di intentato ma ciò porterà certamente alla riapertura di una ferita la quale non si è ancora cicatrizzata. La decisione ultima arriverà entro la prossima settimana.
E mentre le ricerche dell’arma del delitto di Lidia Macchi nel parco Mantegazza, ieri è arrivata la svolta nelle indagini: il sostituto procuratore generale di Milano, Carmen Manfredda, ha chiesto la riesumazione del corpo di Lidia, la studentessa varesina uccisa nel gennaio 1987 da 29 coltellate. Dopo l’arresto di inizio gennaio di Stefano Binda, si cercando ora possibili tracce del suo Dna sul cadavere della ragazza: sulla richiesta effettuata si pronuncerà il gip di Varese. Arriva dunque la svolta dopo che già mesi fa la famiglia Macchi aveva chiesto la riesumazione, nonostante il grande dolore che evidentemente provoca un fatto del genere, con l’obiettivo di non lasciare nulla di intentato e non risolto e per fare si spera definitiva chiarezza. Intanto lunedì la Manfredda affiderà l’incarico ad un antropologo forense nell’ambito di una consulenza di parte sui coltelli trovati nel parco di Varese che potrebbero essere l’arma del delitto e anche qui si cercando eventuali tracce organiche di Dna.