A La Vita in Diretta si parla del caso Macchi, con la povera Lidia che da 30 anni cerca giustizia lei e soprattutto la sua famiglia per uno degli omicidi più complessi e irrisolti della storia recente italiana. Si parla di Stefano Binda, accusato in carcere, e dell’intero caso a pochi giorni dalla decisione sulla possibile riesumazione del corpo di Lidia per trovare possibili tracce del dna dell’assassino. Come pesano però, viene ricordato in trasmissione su Rai 1 dalla conduttrice Cristina Parodi, quelle prove che la procura di Varese, in maniera tutt’oggi ancora inspiegabile, hanno distrutto 11 anni fa per liberare spazio all’interno della struttura tribunalizia. Erano alcune tracce di dna ritrovate addosso alla ragazza e nei pressi del luogo dove è stato ritrovato il corpo di Lidia: oggi, come vediamo, si cerca con speranza qualcosa di molto difficile, ovvero altre tracce organiche a 30 anni dal delitto. E quelle prove distrutte nel 2005 davvero oggi potevano giocare un ruolo se non decisivo quantomeno importante.
Avrebbe compiuto ieri 50 anni Lidia Macchi, la studentessa uccisa 29 anni fa e del cui delitto, dallo scorso 15 gennaio, è in carcere Stefano Binda. Si son dovuti attendere 29 anni dal tragico omicidio rimasto un mistero per troppo tempo, prima di vivere l’attesa svolta, ma Binda continua oggi a ritenersi innocente. Quella appena iniziata sarà una settimana importante per la famiglia della vittima: non solo si attende la risposta in merito alla richiesta di riesumazione del corpo di Lidia Macchi ma, proprio nella giornata odierna come svelato da La Provincia di Varese online, il sostituto pg Manfredda affiderà l’incarico all’archeologo forense affinché possa analizzare e datare i sei coltelli ritrovati nel parco Mantegazza, sotto sequestro dallo scorso 15 febbraio.
Non è ancora arrivata la risposta del gip per la riesumazione del corpo di Lidia Macchi dopo la richiesta ufficiale arrivata dal sostituto procuratore generale di Milano, Carmen Manfredda. L’iter è più lungo del previsto per questi termini: la riesumazione può avvenire solo se il gip titolare dell’indagine, quello di Varese, accogliesse le istanze del pg con la forma dell’incidente probatorio. Le parti dovranno nominare i loro periti e gli esiti del riscontro del nuovo esame sul cadavere della povera ragazza massacrata 29 anni fa saranno cristallizzati e diventeranno parte di un eventuale processo a carico di Stefano Binda, attuale accusato per il delitto o chi dovesse uscire indiziato dall’esame del dna. Ovviamente l’esame sul cadavere dovrà essere unico e irripetibile in caso di accoglimento della richiesta da parte del gip: la teppistica potrebbe anche essere molto lunga, ovvero entro questa settimana e non tra oggi o domani come si pensava in origine. I forti dubbi sono dati dal fatto che le tracce biologiche potrebbero essersi cancellate dopo così tanti anni dall’omicidio, ma che per i famigliari può rappresentare comunque una possibilità valida da affrontare, nonostante il forte dolore per la riesumazione di un corpo morto un trentennio fa. Intanto in carcere Stefano Binda continua a proseguire nel silenzio mentre nel Parco Mantegazza di Varese si continua a cercare l’eventuale arma del delitto, quel coltello a così lungo tempo cercato.