In tutta Italia viene chiamato col nome di giovedì grasso, ma in Toscana si sa, alle tradizioni del posto ci si tiene eccome: capita allora che il giovedì precedente l’ultimo giorno di Carnevale prenda il nome di Berlingaccio e chi non è a conoscenza di questa bella tradizione venga guardato come un alieno. Ma facciamo chiarezza: perchè il giovedì grasso viene chiamato Berlingaccio? La tradizione fa risalire l’origine del nome all’unione del tedesco “bretling”, che significa tavola, alla forma latina composta da “per” più “ligere”, che viene tradotto con leccare insistentemente nel senso di mangiare con piacere. Si dice che da questa unione derivi poi il verbo “berlingare”, un termine usato in abbondanza dai poeti cinquecenteschi, che coincideva anche con una maschera carnevalesca dell’epoca. Per quanto radici e origini del nome non siano molto note, una cosa è certa: a Firenze e provincia è obbligo abbuffarsi, condividere con amici e parenti il piacere della buona cucina. Ma cosa si mangia in queste occasioni? Ovviamente il “berlingozzo”, un dolce a forma di ciambella fatto con gli stessi ingredienti dei celebri brigidini toscani. Insomma, in Toscana mangiare bene il giovedì grasso è un dovere. Se non ne siete convinti c’è un proverbio che chiarisce perfettamente il concetto:”Per berlingaccio, chi non ha ciccia mangi il gattaccio!“.



Che abbia origini storiche come sostengono alcuni o abbia una valenza religiosa come asseriscono altri poco importa: il giovedì grasso è comunque capace di scatenare lo spirito goliardico degli italiani, capaci di interpretare al meglio lo stile del Carnevale. Ne abbiamo una dimostrazione navigando su Twitter, piazza virtuale in cui al “grido” dell’hashtag #giovedìgrasso possiamo sorridere grazie ad una buona dose di sana ironia. C’è ad esempio chi si rivolge direttamente al protagonista di questo articolo e scrive:”Caro giovedì, non sei l’unico ad essere grasso“. In tanti interpretano questa ricorrenza dal punto di vista “alimentare”:”Oggi è giovedì grasso. Che comunque è più magro di me“, scrive un utente, mentre un altro si domanda:”Ma il giovedì grasso aspetta il lunedì per mettersi a dieta?“. Insomma, in un giorno storicamente contraddistinto dall’abbondanza a tavola, ci si può consolare con un’abbuffata di ironia!



Una delle domande che ci può venire in mente in tema di Carnevale è che cos’è esattamente il Giovedì Grasso e soprattutto perché si chiama così. Ci sono diverse versioni che potrebbero rispondere ai nostri dubbi ed una delle più intriganti è quella che riguarda le strade di Venezia. Il Giovedì Grasso era infatti il giorno in cui a Piazza San Marco veniva svolta una grande festa celebrativa in onore di un’importante vittoria. La Serenissima aveva affrontato il patriarca Ulrico, uomo alquanto devoto all’Imperatore, per via di una bolla papale di Adriano IV che assegnava al Patriarcato di Grado tutta la Dalmazia. Si dice che Ulrico approfittò della guerra in corso fra Venezia, Padova e Ferrara per sferrare il colpo fatale a Grado, costringendo il patriarca Enrico Dandolo a fuggire. Per ricordare la vittoria, venne stabilito che ogni Giovedì Grasso i macellai ed i fabbri avrebbero mozzato le teste ai tori, richiamando così l’idea di poter togliere ogni ostacolo. Una spiegazione più religiosa e consona alle tradizioni cristiane, vede invece l’appellativo “Grasso” come attribuito ai giorni di feste, danze e mangiarini che precedono il periodo della Quaresima. La stessa spiegazione calzerebbe quindi anche per il Martedì Grasso, il giorno che precede il mercoledì delle ceneri, e che indica la fine della settimana dei sette giorni di carnevale. Il nome Giovedì Grasso varia inoltre a seconda delle regioni in cui ci troviamo. Per esempio in Toscana è chiamato “Berlingaccio” mentre in Sicilia si accenna più genericamente al periodo del Carnevale come ai “giorni del pecoraio”, perché secondo una parabola si racconta che Gesù avesse concesso al pastorello ritardatario un branco di pecore per poter partecipare alla festa domenicale. Il Carnevale ha diverse durate a seconda della zona, ma tradizionalmente le ultime tre giornate si spendono in banchetti e gozzoviglie. I piatti tipici sono molteplici fra cui, ricordiamo, i ravioli abbruzzesi, le castagnole delle Marche e la gallina più vecchia per la Romagna. E’ un’occasione quindi di gran divertimento e sfrenatezza, contornata da corse e follie in maschere lungo le strade. Il tutto prima di arrivare all’ultima sera, alla mezzanotte, in cui finisce la baldoria con il rintocco della “campana della carne” ceh annuncia che le feste sono finite e che si deve affrontare il periodo di restrizione previsto per la Quaresima. 

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