In Italia ci sono 7.513 coppie omosessuali, delle quali 529 hanno uno o più figli. E’ quanto emerge dal censimento Istat del 2011, sottraendo ai 13 milioni e 997mila nuclei composti da due genitori i 13 milioni e 990mila che hanno dichiarato di essere eterosessuali. Per sostenere il ddl Cirinnà, spesso si è parlato invece di “100mila figli di coppie omosessuali”. In una lettera pubblicata dal quotidiano Avvenire, il direttore della comunicazione Istat, Patrizia Cacioli, ha confermato il dato sulle 7.513 coppie gay, ma ha precisato: “Dai risultati emersi riteniamo che molte persone abbiano preferito non dichiararsi”. E ha aggiunto: “I dati raccolti non possono essere considerati come indicativi della effettiva consistenza della popolazione omosessuale nel nostro Paese. Pertanto non è corretto dedurre il numero reale dei figli di coppie omosessuali in Italia utilizzando le fonti Istat sopra citate”. Su tale affermazione, che è singolare se si pensa che a rilasciarla è l’Istituto nazionale di statistica, abbiamo chiesto un commento a Gian Carlo Blangiardo, professore di demografia nell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.



Professore, quanto sono attendibili i dati del censimento Istat sulle coppie gay?

Sui dati del censimento si costruisce la popolazione legale, da cui dipendono per esempio il numero di seggi in Parlamento e le modalità di elezione del sindaco. Il censimento quindi è uno strumento serio, e ci si aspetta che le persone intervistate dicano la verità. Non si capisce perché la stessa gente che va in piazza a manifestare il suo orgoglio gay, poi quando è davanti a una scheda di censimento dovrebbe avere vergogna a confermare quello che in piazza dice esplicitamente.



Per il direttore della comunicazione Istat però questi dati sono sottostimati …

Il buonsenso ci dice che forse i dati sulle coppie gay sono sottostimati. Ma dal punto di vista formale quelli del censimento dovrebbero essere i dati ufficiali sui quali andare a ragionare. Non si possono immaginare numeri diversi perché non ci sono fonti che li forniscano.

Che cosa ne pensa della polemica sorta su questa vicenda?

A intuito viene anche a me da pensare che quelli relativi alle coppie gay siano valori più alti. Anche se poi magari va in piazza, qualcuno può avere una qualche resistenza di fronte a una scheda del censimento. Però sono soltanto illazioni, non ci sono elementi per dire che la gente si è comportata così.



Quindi lei non esclude un’inesattezza dal punto di vista statistico?

Per quanto questo possa anche accadere, c’è una differenza enorme tra 7.513 e i numeri che sono ballati con estrema disinvoltura quando si parla di coppie gay, e che variano tra 500mila e un milione. Il problema qui non è il numero, bensì l’ordine di grandezza del fenomeno. La mia impressione è che si tratti comunque di un fenomeno che nella percezione collettiva è largamente sovradimensionato, perché è nell’interesse di molti che sia così. E quando i dati tenderebbero a ricondurre le cose alla loro vera dimensione, li si mettono in discussione.

Perché i dati sulle coppie gay in passato non sono mai stati pubblicati?

Nei censimenti precedenti al 2011 si era trovata un’altra soluzione: quando una coppia si dichiarava tale e i sessi non erano uno diverso dall’altro, il sistema di controllo provvedeva a rettificare. Era considerata cioè come una dichiarazione incompatibile con le regole, e conseguentemente veniva di fatto cancellata. Tanto è vero che nei censimenti precedenti non erano rilevate coppie dello stesso sesso.

 

Quindi il censimento del 2011 ha rappresentato una novità?

Sì, e questa novità è stata colta da soggetti autorevoli come un’opportunità per contare finalmente il fenomeno delle coppie gay, del quale la stessa Ue ci chiede di tenere conto. Sembrava dunque l’occasione per fare chiarezza su una realtà di massa. Il dato che è uscito non ha però confermato questa idea, e ciò ha in qualche modo spiazzato qualcuno. A questo punto la cosa più naturale era quella di dire che i numeri non sono veri.

 

Dunque quella sulle unioni gay sembra una norma ad hoc per un gruppo di persone veramente piccolo. E’ una dinamica che prenderà sempre più piede, per esempio sull’eutanasia?

Questa è la debolezza del sistema democratico, il quale anziché basarsi sul potere della maggioranza dà spazio a chi ha più voce sui media. In questo modo chi grida più forte o ha gli amici giusti ottiene quello che vuole.

 

(Pietro Vernizzi)

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