Sono già troppe le voci che sussurrano tesi divergenti intorno alla morte in Egitto di Giulio Regeni, il ventottenne italiano trovato senza vita sulla strada che dal Cairo conduce ad Alessandria, morte causata da evidenti percosse e torture. Regeni era scomparso il 25 gennaio scorso e solo dopo quasi una settimana, e nonostante le reticenze delle autorità egiziane, la Farnesina decide di rendere pubblica la notizia. Regeni si trovava in Egitto per una tesi del dottorato di ricerca sulle organizzazioni sindacali egiziane, e avrebbe partecipato anche a qualche riunione, secondo un’altra di queste voci. La vittima aveva recentemente pubblicato articoli tratti dalle sue ricerche sui sindacati per un’agenzia, la Nena news, specializzata su tematiche legate alla società e alla politica mediorientale.
Dall’Inghilterra i docenti dell’Università con cui Regeni collaborava hanno affermato: «Come membri della collettività accademica alla quale apparteneva Giulio Regeni siamo profondamente rattristati per la sua morte. La nostra comunità si è arricchita grazie alla sua presenza» dal momento che «il ricercatore lavorava su questioni di importanza vitale per capire la società egiziana contemporanea». Nello stesso paese Regeni è diventato una delle bandiere della libertà di ricerca e di studio, spesso ostacolata dai regimi totalitari, come afferma Amnesty International, citata nell’occasione, e manifestazioni in suo onore si sono svolte in Egitto, in Italia e in diversi paesi del mondo.
Un’altra voce che si è aggiunta è quella del quotidiano Il Manifesto, col quale Regeni desiderava collaborare e che ha ripreso gli articoli usciti su Nena News, affermando che erano in attesa di pubblicazione. Il quotidiano è stato smentito dalla madre del ragazzo, la quale ha detto che Giulio voleva collaborare ma aveva ricevuto un rifiuto dal Manifesto. Infine alcuni siti hanno aggiunto la loro voce scrivendo che Regeni fosse un agente dell’Aise, il servizio segreto italiano che si occupa di minacce provenienti dall’estero.
L’impressione è che di fronte alla tragica e dolorosa morte di Regeni difficilmente si arriverà alla verità in tempi brevi, come tutti desideriamo almeno per rispetto del dolore della famiglia e della grande dignità con cui i genitori hanno appreso la notizia. L’ipotesi che Regeni fosse un agente segreto sembra comunque improbabile. Perché l’Italia dovrebbe spiare il governo egiziano come una “minaccia estera”? La situazione è tutto l’opposto: l’Egitto oggi, ancorché governato da un presidente, al Sisi, che ha di fatto instaurato un regime, è un tassello fondamentale nello scacchiere infuocato del Medioriente. Si pensi alla pericolosissima situazione della Libia, con cui confina, e alla lotta micidiale che, anche al suo interno, sta combattendo con le formazioni estremiste come i Fratelli musulmani, che ha scalzato dalla guida del paese, e con le formazioni più sanguinarie, fino all’Isis. Nessun leader attuale con un po’ di sale in testa, tantomeno l’Italia per la posizione che occupa, può non tenerne conto o addirittura compiere azioni segrete sconsiderate.
Quando politici come Di Maio, del M5s, affermano che il nostro “governo dovrebbe minacciare ed eventualmente avviare ritorsioni economiche verso l’Egitto”, dicono cose che, a voler essere buoni, potremmo definire ingenue, ma che rivelano in realtà l’assoluta impreparazione di tanti nostri politici ad affrontare la gravissima crisi internazionale nel modo più efficace e realista. Il povero Regeni è probabilmente incappato in qualcosa più grande di lui: certo, quello che è successo non è in nessun modo ammissibile e giustificabile, ma è evidentemente possibile in un luogo, come l’Egitto, e il Medioriente in genere, in cui si sta combattendo una partita mortale e in cui è ormai estremamente pericoloso compiere perfino ricerche universitarie e accademiche.