Mentre si attende una risposta dal gip di Varese per la riesumazione del corpo di Lidia Macchi, il caso continua parallelamente sulla ricerca dell’arma del delitto: complesso anche questo punto dato che dopo 30anni ricercare qualcosa mai trovato neanche nei giorni caldi dopo l’orribile omicidio è davvero un’impresa quasi impossibile. Proprio per questo motivo le ricerche nel parco di Masnago riprendono, ma i militari saranno coadiuvati dall’archeologo forense Dominique Salsarola, come preannuncia Varese News versione online. Si cerca in quel parco Mantegazza che secondo la super teste Patrizia Bianchi sarebbe stato il luogo del rilascio di uno strano sacchetto da parte di Stefano Binda, pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo di Lidia in un bosco attorno a Varese. Salsarola, già consulente nel 2004 per l’inchiesta sulle Bestie di Satana, si affiancherà al lavoro dei militari armati di metal detector. Analizzerà in diretta i terreni per poter indirizzare il lavoro dell’esercito che da giorni sta cercando indizi o direttamente l’arma del delitto: i famosi sei coltelli ritrovati in questi giorni sono ancora al vaglio della Polizia Scientifica e solo nella prossime settimane si potranno avere i primi responsi.
Il delitto di Lidia Macchi negli ultimi giorni è entrato in una nuova fase importantissima e che potrebbe portare, dopo 29 anni, ad una svolta definitiva. Il primo scossone importante risale allo scorso gennaio in seguito all’arresto di Stefano Binda, ma ora importanti elementi potrebbero giungere proprio dallo stesso corpo di Lidia Macchi per il quale nei giorni scorsi è stata chiesta la riesumazione. Un atto necessario al fine di “non lasciare nulla di intentato”, come sottolineato dall’avvocato della famiglia Macchi la quale già la scorsa estate aveva depositato il consenso. Alla trasmissione Quarto Grado, qualche settimana fa, proprio lo stesso legale aveva parlato di “ultima possibilità” nonostante i dubbi sui reali dati che potrebbero essere recuperati. Come sottolineato anche dal quotidiano online La Provincia di Varese, la riesumazione del corpo di Lidia Macchi potrebbe contemplare non pochi rischi a causa dei notevoli anni trascorsi dal delitto ma soprattutto a causa dell’inumazione in terra che avrà accelerato non di poco i processi di decomposizione del cadavere. Nonostante questo, la sola riesumazione potrebbe nel migliore dei casi far parlare ancora il corpo della povera Lidia Macchi a distanza di quasi 30 anni, rendendo nota la presenza di tracce di Dna tali da poterne confermare le responsabilità di Stefano Binda – sebbene continui dal carcere a proclamarsi innocente – o contrariamente a scagionarlo dalle pesanti accuse di omicidio. Secondo il quotidiano online, l’ultima speranza potrebbe essere caratterizzata dai peli pubici di Lidia Macchi che avrebbero tempi di decomposizione maggiori rispetto a quelli dei tessuti molli. La risposta da parte del gip avverrà con ogni probabilità nel corso della settimana, quando deciderà se far procedere o meno alla riesumazione con la formula dell’incidente probatorio. In caso di esito positivo, avrà a disposizione ulteriori 15 giorni per conferire i relativi incarichi ai periti. Gli esiti dell’esame irripetibile (per ovvie ragioni), diventeranno parte di un eventuale processo.