L’assunzione dei 16 testimoni di giustizia sarebbe una “mera propaganda”, secondo Nello Mesumeci, Presidente della Commissione regionale Antimafia. La frase viene riportata dal Giornale di Sicilia e continua con le parole di Mesumeci volutamente provocatorie riguardo alle condizioni pericolose in cui sono costretti a vivere i 16 testimoni di giustizia. “Se è vero che i testimoni di giustizia sono persone a rischio, come si fa a tenerli tutti in uno stesso appartamento, a Roma, nell’Ufficio di rappresentanza della Regione, sede facilmente raggiungibile e senza un presidio di polizia?”. I cittadini che hanno collaborato con la giustizia versano in gravi situazioni e non solo per la minaccia di ritorsioni, ma anche per il clima di convivenza resa impossibile proprio dal rischio che comporta la loro presenza nella succursale di Roma. Sarebbero stati sottoposti a minacce e denunce, come evidenziato da Blog Sicilia, da parte degli altri dipendenti già assunti nello stesso ufficio. I dirigenti ed uno dei dipendenti hanno raccontato che alcuni dei testimoni hanno accusato inoltre parenti o persone molto vicine agli altri colleghi, cosa che rende impossibile la loro permanenza sul posto.
Ha fatto notizia l’appello dei 16 testimoni di giustizia a cui Le Iene Show daranno voce stasera, domenica 13 marzo 2016, nel servizio di Gaetano Pecoraro: gli uomini e le donne che hanno fornito alle istituzioni elementi importanti contro la mafia non godono infatti della dovuta protezione e hanno paura di subire degli attentati. A spiegarlo, come riportato da “Live Sicilia” è stato Ignazio Cutrò, presidente dell’associazione testimoni di giustizia, a margine di un incontro con il dirigente generale del dipartimento Affari extraregionali Maria Cristina Stimolo, capo-struttura del dipartimento dove i 16 prestano servizio, com’è ampiamente noto. Sotto accusa è finito il governatore della Regione Sicilia Rosario Crocetta, che nella nuova Finanziaria ha previsto nuove assunzioni contribuendo ad esasperare una situazione che rischia di esplodere. Cutrò chiarisce: «Non contestiamo la legge approvata per la quale abbiamo lottato. Ma certamente il modo col quale è stata poi gestita la faccenda. Se dovesse succedere qualcosa a uno di noi, insomma, credo che qualcuno dovrà assumersene la responsabilità. Non è possibile vivere con la sensazione di essere un bersaglio facile. Abbiamo provato a far sentire la nostra voce ovunque: abbiamo scritto al presidente Mattarella, al ministro Alfano, al governatore Crocetta. E per tutta risposta, oggi non c’è nemmeno una macchina delle forze dell’ordine nei pressi di quell’ufficio. A questo punto lo stesso Viminale spieghi se siamo o meno in pericolo di vita. Noi abbiamo paura. Tra la vita e il lavoro scegliamo la vita. E se le cose non cambieranno, siamo pronti alle dimissioni di massa».
“Abbiamo paura”. E’ questo l’appello dei testimoni di giustizia che, dopo aver denunciato gli eventi di mafia di cui sono stati testimoni, si sono ritrovati nuovamente in pericolo. A gettare nel panico i testimoni di giustizia è questa volta un evento molto singolare di cui si è voluto occupare anche il programma Le Iene Show, nel servizio di Gaetano Pecoraro che vedremo stasera, domenica 13 marzo 2016. Secondo la legge in vigore, voluta da Crocetta, i testimoni di giustizia dovrebbero infatti vivere sotto identità segreta ed in località protette. Inoltre, devono essere assunte nella pubblica amministrazione. Non è andata così per molti di loro, sedici in particolare, che sono stati assunti in un luogo noto a tutti, ovvero la sede di rappresentanza della Sicilia a Roma. In questo edificio, come denuncia all’Ars Nello Mesumeci, Presidente della commissione Antimafia, non esistono misure atte alla sicurezza ed alla protezione dei testimoni di giustizia. “Adesso basta, tra la vita e il lavoro, scegliamo la vita”, annuncia Ignazio Cutrò, Presidente dell’associazione testimoni di giustizia. Le sue parole, riportate da Live Sicilia, evidenziano la volontà di tutte e sedici le persone protagoniste della vicenda, di dimettersi nel caso in cui non verranno presi provvedimenti nell’immediato. Nei giorni scorsi, Mesumeci ha incontrato i testimoni di giustizia e Maria Cristina Stimolo, dirigente generale del dipartimento Affari extraregionali, affermando che si tratta di “una situazione surreale”. Secondo la legge, queste persone non possono lavorare in Sicilia perché avrebbero rischiato la vita, magari perché riconosciuti da quegli stessi criminali che hanno denunciato, collaborando con la giustizia italiana. Si trovano nel panico anche gli altri dipendenti dell’ufficio a cui sono stati destinati i testimoni di giustizia, perché temono di poter diventare un potenziale bersaglio. La tensione ha portato i due diversi gruppi, testimoni di giustizia e non, ad uno scontro acceso che ha aggravato ulteriormente la situazione. “Non vogliamo essere trattati come normali dipendenti regionali”, afferma ancora Cutrò, “Perciò, se qualcuno ha sbagliato, dovrà essere punito proprio come accade ai regionali”. Secondo la commissione di cui è a capo Cutrò, i sedici testimoni di giustizia si ritrovano nell’ennesima condizione di pericolo, rifiutati addirittura due volte. Prima fra tutti dalla Sicilia, ma anche da Roma, dove avevano iniziato con fatica una nuova vita. “Due di queste persone, ad esempio, ogni sera prendono il treno e percorrono quasi 500 chilometri per raggiungere le figlie”, spiega invece Mesumeci. In questi momenti non è prevista alcuna vigilanza, come invece dovrebbe essere garantita dal programma di protezione.