La storia della Meloni mamma che si candida o non si candida a sindaco di Roma mi è sembrata da subito stonata, distorta: la naturale alzata di spalle indifferente all’ardua scelta ha lasciato il posto a un’attenzione obbligata per le implicazioni antropologiche di un dibattito sotteso.
La Meloni, una donna giovane, non più una ragazza, diventa madre, e contemporaneamente porta avanti la sua responsabilità politica. E’ giusto caricarla di compiti ancor più gravosi, totalizzanti? Un conto è assistere a qualche seduta in Parlamento, tacitare le orde l’un contro l’altra armate della destra in qualche fiacca riunione, ben altro perdersi tra gli infiniti e irreparabili veleni che ammorbano la Capitale. Tocca stare sul pezzo ora dopo ora, giorno dopo giorno.
La nostra Costituzione tutela la maternità come poche altre al mondo: ad ogni donna sono concessi cinque mesi almeno, salvo eccezioni e complicanze, da dedicare interamente al proprio bambino. Ci sarà un motivo, non solo quello della salute. Poi ciascuno fa quel che gli pare, che tanto è il leit motiv di questo tempo in cui nessuno invece è libero davvero, schiavo di tanti poteri che decidono il giusto e l’ingiusto, a seconda di quanto e come servi. E Giorgia Meloni ha deciso che poteva conciliare, sperava di riuscirci, maternità e impegno elettorale e da eventuale primo cittadino. Onore e merito? Dipende. Eroismo? Macché.
La vicenda ha preso la piega della rivendicazione femminista fuori tempo, del rifiuto del sessismo diffuso, di una minorità femminile da respingere con scatti d’orgoglio. Si può ancora dire pane al pane e vino al vino, o è vietato ricordare che la realtà viene prima, e s’impone? Una donna che sta per partorire non può fare il sindaco a tempo pieno, lapalissiano. Qualsiasi aiuto abbia. E non è giusto che lo faccia. Dobbiamo pur gridarlo che tocca smetterla con quest’idea della maternità come periodo di passaggio, come una malattia noiosa che ti debilita. Proprio perché non lo è, ma è un tempo di grazia, di conoscenza, di consapevolezza, di apertura all’altro da sé, va custodito ed esaltato come bene prezioso. E’ l’eterno e sempre nuovo che entra nel nostro tempo, lo trasforma, lo vivifica, lo salva. Chissene frega del successo, della carriera, degli obblighi di qualsiasi tipo. Chissene frega del peloso rispetto per la libertà femminile, esibito da chi non ha il coraggio di condannare a voce alta la maternità surrogata, ad esempio.
Ma è un esempio cruciale: progressivamente le donne cercando di farsi uguali all’uomo in ciò che ha di peggiore, cioè la rincorsa al potere, hanno perso identità e felicità. Significa che stavamo meglio nelle funzioni di sola cura, chiuse in casa a fare la calza o al mestolo? Propaganda infingarda. Significa che la libertà, le possibilità che devono essere identiche per ogni uomo o donna che sia tengono conto di chi sono, e io sono questa grandiosa capacità di dare la vita.
Posso far finta che sia un accidente che non m’impegna? Posso non rendermi conto che le forze, anche fisiche, devono fare i conti col limite, fisico, psicologico, e che questa non è una limitazione, ma un’occasione? Giorgia Meloni è una tipa in gamba, ha osato sporcarsi le mani, farsi da sola, fare scelte non di comodo e salvarsi da alleati prepotenti e adulanti. Finora.
Si è lasciata convincere ad una candidatura perdente per far fuori il padre-padrone? Per rivendicare una storia e una zona di controllo, come fa comodo agli scherani che le fanno da guardaspalle? Per posizionarsi su forme di destra vincenti in Europa che ricordano troppo il passato da cui lei stessa proviene, e che mai avremmo voluto rivedere in Italia? E’ usata, o si lascia usare? Sbaglia. Sbagliano, consapevolmente, maliziosamente, corrosi dall’ideologia, quelli che esaltano la sua discesa in campo per scompaginare il nemico, romperne le fila, pregustare una facile vittoria. Fingendo di preoccuparsi di lei, della sua libertà di donna moderna. Le attestazioni di stima nei suoi confronti puzzano troppo. Sia da parte di chi la voleva buona e zitta a cucire bavaglini, per togliersela di torno, sia chi la vuol vedere in piazze e mercati, per sfinirla. Che una donna in gamba possa cascarci così, farsi fagocitare dal politically correct uniformante, che non tiene conto del mio io e del mio desiderio, è triste.
E un’altra cosa, Giorgia: “nessun uomo può dirmi quel che devo fare”. Ti auguro di trovare un compagno di strada cui tu stessa chieda spesso, e con gioia, di aiutarti a decidere, a capire quel che è meglio per te. Che lo faccia con amore, guardandoti in faccia come donna, moglie, amica, madre, non come segretario di partito.