Da qualche settimana, e dopo mille ripensamenti, ho cominciato a far vedere il telegiornale la sera ai miei figli. Intendiamoci, non volevo tenerli isolati e protetti. Ma avendo solo 6 e 9 anni mi sono sempre interrogata se quello che viene proposto costantemente nel corso delle edizioni dell’ora di cena fosse adatto alla visione dei bambini. Poi, dialogando con mio marito, è emersa giustamente l’esigenza di porli di fronte alla realtà, ovviamente spiegata e argomentata, senza volerla nascondere all’infinito. Così abbiamo iniziato a radunarci intorno alla tavola, dopo esserci raccontati come è andata la giornata, per vedere insieme cosa succede nel mondo. Finché una sera, dopo una serie di servizi che andavano dalla riapertura del caso di un vecchio omicidio alle violenze sui bambini, dal processo di Yara alla guerra all’Isis, per finire con l’ennesima tragedia del mare di un barcone di immigrati in fuga dai conflitti e dalla disperazione, mia figlia di sei anni ha sentenziato con gli occhi umidi di emozione: “Uffa, ma qui raccontando solo cose brutte?”.
Istintivamente ho spento la televisione con un moto di stizza. Mio marito ha protestato perché stava ascoltando il servizio, ma io non ne potevo più. E condividevo in pieno la posizione della mia piccolina. In realtà è da tempo che, discutendo con alcuni amici direttori di giornali, sostengo che questo accanimento nella narrazione di episodi negativi sia una scelta discutibile. Un conto è dare conto della cronaca, locale e internazionale. Fare informazione. Un altro è quello di fare di questa scelta il leitmotiv di ogni edizione stampata o televisiva dei media. La risposta, spesso, è che questa tipologia di notizie aumenta l’audience. Genera più interesse. E questo secondo me, non è vero.
Ci sono milioni di storie positive da raccontare in questo paese. Dall’impegno sociale alla ricerca scientifica, dall’eccellenza enogastronomica alla cultura. Passano sempre in secondo piano o sono oggetto degli speciali domenicali dei quotidiani o delle rubriche dei tg in orari di nicchia. “Il dilemma dei giornalisti — sostiene Matthew Flinders, docente nell’Università di Sheffield, tra i più influenti politologi britannici che collabora con il Times e il Guardian — verte sull’esigenza di ammonire storie che attraggano il grosso del pubblico, senza però scadere in bassi livelli di professionalità”.
Ecco, io credo che proprio lavorando in questa direzione, si possa introdurre un cambiamento radicale e culturale nella nostra società. La nascita di siti come buonenotizie.it, testimonia che non solo c’è spazio per questo tipo di approccio, ma c’è anche un pubblico. “L’anno appena finito — si legge sul sito — viene già titolato da molti come uno dei peggiori. Eppure il 2015 è stato infinitamente più positivo di quel che sembri: abbiamo raccolto da ogni angolo del mondo storie di speranza e di costruzione, storie spesso sotterranee che però hanno contribuito al bene di molti.
Effettivamente l’anno appena trascorso ha visto consumarsi drammi terribili per molti popoli. L’ebola ha causato circa 11mila morti e poteva diventare una pandemia (come annunciato da molti), invece la malattia è stata debellata: l’hanno fermata medici, infermieri, ricercatori, la cui lotta è rimasta fuori dai riflettori delle news”.
Oggi va molto di moda parlare di “the nudge”, quello che viene tradotto come la “spinta gentile”. Si tratta di tutte quelle operazioni politiche, sociali, educative, normative che, agendo sull’irrazionalità umana, accompagnano le persone verso scelte più virtuose, condivise o socialmente utili. Si tratta spesso di cose semplici, ma con un impatto finale elevatissimo, in tema di previdenza sociale, smaltimento dei rifiuti e tanto altro ancora. Un esempio. Alex Laskey, fondatore della start up Opower, è riuscito a far diminuire in alcune città degli Usa gli spechi energetici, semplicemente inserendo nella bolletta di ogni cittadino il suo consumo, comparandolo con quello del quartiere in cui vive. Risultato? Una riduzione drastica degli sprechi e delle disattenzioni che nessun aumento o multa avrebbe potuto generare.
Esiste ormai una bibliografia estesa su questo tema. Dal testo originario di Thaler e Sunstein alla reinterpretazione italiana di Matteo Motterlini (La psicoeconomia di Charlie Brown). Cosa c’entra tutto questo con le informazioni? Io credo che abbiano la stessa straordinaria potenzialità. Quella di divenire una spinta gentile verso comportamenti migliori e più virtuosi. Non c’è nulla da inventare. A noi piace imitare gli altri. Guardarci attorno. C’è solo da raccontare le storie di donne e uomini come noi che hanno fatto cose semplici o straordinarie che hanno reso la terra un posto migliore dove vivere. Credo che questo telegiornale avrebbe un audience tale da stracciare tutti gli altri. A partire dai bambini che sono i cittadini di domani. Se volete cominciare, ascoltate Micheal Green cliccando qui.