BRUXELLES — Venerdì Santo. Sono passati tre giorni dagli attentati di Bruxelles e la città si è svuotata, sia per le imminenti vacanze di Pasqua sia per il desiderio comprensibile di molti di fuggire da quanto è successo.
Alle 2 del pomeriggio inizia a circolare la notizia di un’operazione della polizia in corso a Schaerbeek, piazza Meiser. Appena lo scopro mi collego ai siti di informazione perché è proprio a due minuti a piedi da quella piazza che abitano dei miei amici. Sono sette ragazzi in un appartamento. Scrivo via messaggio a uno di loro per sapere dov’è e come sta. Mi risponde subito dicendo che lui e un altro ragazzo sono fuori, due ragazzi sono già tornati in Italia per Pasqua, ma tre ragazzi sono in casa. L’operazione della polizia è in corso: tutta la zona è blindata dalle forze dell’ordine, i mezzi pubblici sono stati bloccati, pare che un uomo sia stato “neutralizzato” (qualsiasi cosa voglia dire) e alcuni hanno sentito varie esplosioni. Nessuno entra o esce da quella zona.
I miei amici stavano uscendo di casa per andare a una Via Crucis quando hanno incrociato un poliziotto che li ha fatti rientrare e ha vivamente consigliato di chiudersi dentro fino al termine delle operazioni. Quindi, armati di computer, album da disegno e acquasanta (la scena potrebbe sembrare ridicola se non fosse drammatica) si sono rifugiati nella cantina della casa. Impauriti, questo sicuramente. L’amico a cui ho scritto continua a mandargli aggiornamenti in tempo reale su che cosa sta succedendo fuori.
In quel momento da Milano un amico mi dice di essere appena stato a una Via Crucis in piazza Gae Aulenti durante la quale hanno letto delle lettere di Fra Ibrahim Sabbagh, parroco di Aleppo. Guardo l’orologio e vedo che sono le tre, quindi scrivo a uno dei miei amici nascosti in cantina: “Siamo in orario da Via Crucis, vi mando le lettere del parroco di Aleppo. Così diventa utile anche questo tempo di attesa”.
Mentre i miei amici iniziano una Via Crucis nella cantina di casa, io mi divido tra la diretta del notiziario e la lettura di queste lettere. Diventa subito evidente come, seppur nella differenza, nella situazione che stiamo vivendo a Bruxelles ci sia una somiglianza con quanto racconta Fra Ibrahim. “Questi ultimi giorni sono stati giorni molto turbolenti… […] Ci sono stati, come potete immaginare, tanti morti e feriti… tante nuove storie di sofferenza”.
Ripenso subito a pochi giorni fa, a tutti i volti e le storie delle vittime, a quando sono passata davanti alla stazione della metro di Maalbeek e vendendo fiori e candele è stato spontaneo mettersi a piangere, le serate a casa degli amici per non sentirmi sola. La giornalista della diretta tv chiede: “Ieri ci sono stati gli attentati, adesso c’è quest’operazione e domani che cosa ci sarà?”.
Anch’io mi chiedo: domani che cosa ci sarà? Potrei lasciare che prevalga la paura incontrollata, che spesso mi ha assalito in questi giorni. Ma poi leggo: “I terroristi distruggono ogni cosa, ma noi offriamo la nostra sofferenza per la loro salvezza, preghiamo per loro e perdoniamo”. Non capisco perfettamente che cosa voglia dire, ma Fra Ibrahim sta parlando anche a me ed è questo quello che chiedo succeda domani, anche qui a Bruxelles.
I miei amici finiscono la Via Crucis in cantina e il quartiere è ritornato all’ordine. La polizia ha fermato un uomo che aveva uno zainetto con dell’esplosivo e disinnescato degli ordigni con un robot. Guardo l’orologio e mi accorgo che devo uscire perché i miei genitori stanno arrivando dall’aeroporto. Erano così determinati a venire che credo avrebbero potuto camminare dall’Italia fino a qui. Domani arrivano altri amici e genitori dall’Italia e domenica saremo tutti a festeggiare Pasqua insieme. Perché quest’anno si festeggerà Pasqua a Bruxelles, anzi forse proprio a Bruxelles.