Il giorno più bello dell’anno? E’ il sabato prima della Pasqua, dove tutto sembra lieve, in attesa della festa. Dal dramma del venerdì santo, al sabato che rappresenta un po’ la vita che riprende, con gratitudine. Si va a comprar le uova il sabato, almeno così faccio da svariati anni. L’uovo che è il simbolo della risurrezione, dove il guscio rappresenta il sepolcro dal quale il Cristo esce vincitore; ma anche la perfezione, la promessa di vita. 



“Quando verrai a casa mia?” recitava una canzone di Claudio Chieffo. Sono affezionato a questa canzone, che un anno a Rimini mi volle dedicare. E’ la canzone della Pasqua, perché in quel giorno attendi l’Ospite importante. E allora che fai? Vai a cercare la tovaglia più bella, cogli un fiore e poi in cantina cerchi il vino buono. Claudio me lo chiese proprio: “Ma se il don Gius venisse a casa tua, che vino gli apriresti?”. Il Bricco dell’Uccellone del 1982, gli risposi: lo tengo lì, perché comunque lui verrà a casa mia. E lui si mise a cantare, davanti ai miei amici.



L’Ospite che viene la domenica di Pasqua è Gesù, che ha il volto dei tuoi cari, degli amici, ai quali non puoi fare a meno di dover dare tutto, senza riserve. C’è un filo sottile che divide il pranzo della Pasqua: o diventa uno dei tanti pranzi, oppure è “Il” pranzo, dove in qualche modo celebri la gratitudine di averLo incontrato anche a distanza di mill’anni. E guardi intorno quella vita che ti scorre accanto. C’è ancora il tarassaco nei prati, che si sposa con le uova; c’è l’idea di fare un frittata soffice, c’è l’agnolotto, che racchiude quello che sarebbe stato uno scarto. E invece diventa un gusto. Come la pietra scartata, da cui rinasce una civiltà. 



Si mangiano le carni al pranzo di Pasqua: l’agnello, il capretto, oppure, sulle colline del Monferrato, si fa il coniglio. E si beve il vino buono. Ma prima si assaggiano le uova ripiene, e poi i subrich, che sono delle piccole frittate con le erbe di stagione. Al mio paese quei bottoni verdi hanno persino la denominazione comunale. Poi si assaggia la robiola di capra, quella di Roccaverano da condire con un poco di olio extravergine di oliva (l’olio Evo) e il pepe. Il pane della Pasqua non può essere qualsiasi. Ma il lievitato per antonomasia. E poi si taglia la colomba, che è il dolce lievitato.  

Come quella di Alfonso Pepe, pasticciere campano che è stato il numero uno dei miei assaggi; oppure la colomba di un pizzaiolo bergamasco di Carrobbio degli Angeli, Alessio Rovetta, della pizzeria Sette Ponti, che mi ha regalato una colomba soffice, fantastica, che richiamava solamente il Moscato d’Asti: la Galeisa di Romano Dogliotti. Ma che dire della colomba di Attilio Servi di Pomezia o quella all’olio che fa Francesco Manuele della Nuova Dolceria di Ferla (Siracusa). Quando verrai a casa mia, oggi, domani, tutti i giorni? Che sono i giorni dove anche grazie al cibo e il vino, povero che sia, ho memorato che non sono solo al mondo. Voluto. Come si vuole un amico a casa propria, come si vuole, accorgendosi che c’è, il prossimo. Buona Pasqua amici!