Tutto il male del mondo. Sul volto di un figlio, martoriato e offeso. Questo ha visto la mamma di Giulio Regeni all’obitorio, quando hanno scoperto il lenzuolo. Non c’è cosa più crudele che essere costretti a riconoscere il proprio figlio, carne della tua carne, vita più che la tua vita, steso su un tavolo, dopo giorni e giorni di torture e di morte. Dopo tante voci sull’omicidio che sta squarciando l’ipocrisia di un paese che si credeva amico; dopo tante voci improvvide volte a nascondere la verità; dopo tante voci incerte e tremebonde di fronte alla verità, tacite, quasi in imbarazzo, si alza la voce di una madre, e non urla, non insulta, non bestemmia, come sarebbe naturale, come faremmo noi. 



Pacata, dolente, chiede giustizia, racconta di quel ragazzo lieto, pieno di amici, allegro, intelligente e amante della vita, capace di spendersi per ciò che vale: i suoi studi, e le ingiustizie del mondo. Ha dovuto chinarsi su quel corpo pestato, straziato, vedere il sangue, i lividi, le ossa rotte, i tratti del viso tumefatti, tanto da non riconoscerne più i lineamenti. Che ti hanno fatto, figlio mio. Perché. Forse le sue idee non piacevano, ha semplicemente suggerito la mamma. Con l’evidenza di una verità cui non si possono contrapporre illazioni o ipotesi volte a chiudere un caso scomodo. 



Ha avuto la forza, quella donna, di non parlare solo di Giulio, ma di vedere in lui tutte le vittime della crudeltà dell’uomo. Pensiamo in questi giorni alle madri piegate e piagate sui brandelli di carne dei loro bambini, in Belgio e in Pakistan. Sulle madri che li sanno incarcerati e violentati ogni giorno, impotenti nel loro gridare che i potenti del mondo non sanno o non vogliono ascoltare. 

Ha saputo non chiedere vendetta, distruzione, morte in cambio di morte, come faremmo noi. Non ha domandato privilegi per un italiano, ma giustizia per un giovane ucciso, “come un egiziano”, perché l’orrore non fa sconti a nessuno, e la verità è un diritto di tutti. Che insegnamento, che testimonianza quei due genitori che dopo due mesi di depistaggi e silenzi ancora dicono di fidarsi delle autorità italiane. Noi non diremmo altrettanto, perché le autorità italiane non hanno alzato a dovere la voce, non hanno sottoposto alla verità gli interessi e le preoccupazioni della diplomazia. 



Quel padre e quella madre sono l’immagine di tutti i genitori che in questo mondo insensato si domandano perché. E se c’è un dolore più grande, una via d’uscita, perché la sofferenza è per tutti, ma non così, non per mano d’uomo. Quella persona per bene che è Luigi Manconi, ha fatto delle proposte concrete: le avremmo volute ascoltare subito, da chi ha maggior voce in capitolo: richiamare l’ambasciatore in Egitto, rivedere le relazioni tra i due paesi, inserire l’Egitto tra i paesi non sicuri. Ci sembra ovvio, ci sembra tardi. 

Non possiamo cullarci nella speranza che un paese che tortura i suoi figli ci aiuti ad arginare violenze e orrori che hanno lo stesso marchio di fabbrica. Troppe volte abbiamo perseguito rapporti istituzionali ed economici con paesi dove la menzogna è eretta a sistema, e nella guerra a pezzi che sconvolge il mondo ne vediamo gli esiti. Chi è contro la bestialità, anche se ammantata da dei, lo gridi, senza inventare scusanti. Giulio è il volto oggi di tutti i nostri figli che affidiamo alla vita, perché amino, costruiscano, siano felici. E che gli uomini ci restituiscono cadaveri, irriconoscibili alle carezze materne. 

Signora Regeni, non c’è risposta a un male così. Se non che il male è stato vinto, e da un amoroso Figlio proprio come il suo, coi capelli e la barba intrecciati di sangue, con il capo bello e delicato, esanime; con la bocca bella e delicata, asserrata, come nei versi drammatici di Jacopone. Non c’è risposta a un dolore così. Ma dobbiamo credere che Giulio, come il Figlio di Dio, grazie al Figlio di Dio non è morto per sempre. Tremo a dirlo, signora cara, padre ferito, ma crediatelo, crediamolo insieme: siamo nati e non moriremo mai più.