Il Papa termina il suo ciclo di catechesi sulla misericordia nell’Antico testamento parlando di perdono. Il perdono di Dio, dice, è sempre “più grande di qualunque cosa possiamo rimproverarci”. Con la catechesi di ieri, il Papa prende di petto il problema che noi abbiamo con Dio. È il problema delle misure. Noi uomini viviamo di misure: grande o piccolo, prima o dopo. Invece Dio quando entra nella nostra vita, entra nelle nostre misure e le fa tracimare. Dalla morte alla vita: eterna. Dall’oggi all’eternità, da qui al cielo. E lo fa venendo Lui, facendo Lui, vivendo Lui.
Per questo noi facciamo fatica. Il problema delle nostre misure con Dio non riguarda solo i sentimenti, gli affetti, le gioie, riguarda soprattutto le colpe: le minimizziamo o le ingigantiamo, e di questo ieri ha parlato il Papa. Noi siamo sempre lì a misurare colpe e peccati, a rinchiuderci. E allora Dio non si stanca di riallargare la nostra vita quotidiana, la fa tracimare, e lo fa con il perdono.
Perché se c’è una cosa su cui spesso sbagliamo è proprio la misura del Suo amore. Non c’è colpa che Dio non prenda, copra, cancelli, curi, annulli, qualsiasi di questi verbi noi vogliamo usare Lui lo chiama perdono.
È quella cosa che non finisce mai, che ha spazio per prendere ogni colpa, ed è proprio quel senza misura che ci sembra impossibile, impensabile. Per questo ci andiamo a nascondere, ci colpevolizziamo di più, ci condanniamo senza appello, e ci dimentichiamo che lì dove noi vediamo peccato e morte, Lui vede Mauro, Federico, Luigi, Ada, Marta: me, te, noi, uno per uno.
Lì dove noi vediamo un giudice, Lui è seduto a cuocere pesce per la nostra fame. Proprio la fame che viene la sera, dopo il lavoro. La presenza di Dio è la morte delle metafore: se cuoce pesce non è perché “significa qualcosa”: è, innanzitutto, proprio perché cuoce pesce. Noi facciamo teologia, Lui cuoce pesce. Noi distinguiamo mille peccati, Lui ci chiede se abbiamo da mangiare. Perché perdonare è tornare a mangiare insieme, tornare a mettere insieme il pane, ad essere amici, compagni. Non dimentichiamoci che compagni viene da cum panis: gente che mette il pane in comune. Questo è il perdono di Dio. Sazia.
Il Papa per dire tutto questo usa parole bellissime. “Quando un bambino cade, cosa fa? Alza la mano alla mamma, al papà perché lo alzi. Facciamo lo stesso. Se tu cadi per debolezza nel peccato, alza la tua mano: il Signore la prende e ti aiuterà ad alzarti. Questa è la dignità del perdono di Dio! La dignità che ci dà il perdono di Dio è quella di alzarci, metterci sempre in piedi, perché Lui ha creato l’uomo e la donna per essere in piedi”. Pesce e mani di madre.
La teologia del Papa è quella dei bambini: è sempre la teologia migliore. Cadere come cadevamo al parco, farsi male con le ginocchia sbucciate, è il simbolo di ogni infanzia perché, quando accade, si rimane a terra a piagnucolare e questo lo fanno solo i bambini: già da adolescenti non lo si fa più. Da grandini ci si alza veloci, ci si pulisce da soli, se qualcuno vuole aiutarci, diciamo di no, vergognosi e orgogliosi. E così andiamo via zoppicando.
Da piccoli invece ci si fa alzare da mamma, e questo bisogna fare, ha detto il Papa in udienza. La si chiama e solo lei può toccarci. E la ferita diventa l’occasione dei baci “leva-bua”. Siamo stati creati per stare in piedi perciò se cadiamo, facciamoci rialzare. Ma non è roba da bambini? Sì. Ed è anche roba da re. Da Re David, addirittura. Traditore e omicida, racconta il Papa. Re, profeta, grande, grandissimo, con l’anima sbucciata. Potente non solo di forza ma anche potente nel chiamare, nel chiedere, nel farsi rialzare.
“Brutto peccato! Il profeta Natan gli svela la sua colpa e lo aiuta a riconoscerla. È il momento della riconciliazione con Dio, nella confessione del proprio peccato. E qui Davide è stato umile, è stato grande! Chi prega con questo Salmo è invitato ad avere gli stessi sentimenti di pentimento e di fiducia in Dio che ha avuto Davide quando si è ravveduto e, pur essendo re, si è umiliato senza avere timore di confessare la colpa e mostrare la propria miseria al Signore, convinto però della certezza della sua misericordia. E non era un peccato da poco, una piccola bugia, quello che aveva fatto: aveva fatto un adulterio e un assassinio!”.
Grande Davide a terra con le ginocchia sbucciate. Grande Davide che usa parole “plastiche”, come dice il Papa: “È un appello accorato a Dio, l’unico che può liberare dal peccato. Vengono usate immagini molto plastiche: cancella, lavami, rendimi puro. Si manifesta, in questa preghiera, il vero bisogno dell’uomo: l’unica cosa di cui abbiamo davvero bisogno nella nostra vita è quella di essere perdonati, liberati dal male e dalle sue conseguenze di morte”. Dio fa così. Accende il fuoco per sfamarci. Cuoce il pesce per saziarci. Cancella, lava, ciò che ci sporca, ciò che ci ferisce. Noi siamo la sua gioia, soffia sulle nostre ginocchia. Non vede peccati, vede la sua gioia a terra. Quando faremo della nostra teologia, pesce, pane, mano che ci rialza?