Da donna, da madre, non posso parteggiare per il carpentiere di Mapello. “Massi”, Massimo Bossetti, “il favola”, come lo chiamavano i compagni. Un frequentatore di centri estetici, un maniaco del sesso su internet, dove le ricerche di immagini di tredicenni, specifiche quanto a organi genitali, tratti e colori somatici ha dello psicotico, o del criminale. La sua gelida ostentazione d’innocenza, la presa di distanza, poi il riavvicinamento della moglie, complice nelle sue turbe ossessive pedopornografiche (anche se lei dice di preferire filmetti e foto di adulti, mai di ragazzine) non depongono a suo favore. Scheda tipo della famiglia di provincia che cova menzogne e orrori.



C’è di peggio, che sostiene l’accusa, oltre alla mancanza di un alibi credibile: i passaggi su e giù davanti alla palestra dove si allenava la povera Yara Gambirasio, se confermati dai tira e molla investigativi, dato che pare non si sappiano contare i tratti percorsi e ripresi dalle telecamere di sorveglianza del suo furgone. Uno, nessuno, centomila? Casuali o sospetti? C’è la testimonianza di una donna, che l’avrebbe visto caricare in macchina la piccola Yara Gambirasio. Ingenuità? O frequentazione abituale? Comunque allora si conoscevano, cosa sempre negata dalla famiglia e dall’imputato. Perché mai questa testimonianza basilare arriva a tanti anni dal crimine?



Poi ci sono tracce di fili del tessuto della sua auto sul corpo della bambina, e soprattutto c’è il suo dna, quello sì, tracciato una volta soltanto, perché il campione era tropo esiguo, ma pure, pare, inconfutabile. Tanto che con un’indagine all’avanguardia e mai sperimentata prima, si è andati a riesumare una salma, scoprire il suo vero padre, rivelare gli amori clandestini e sempre protestati della madre…Implicazioni etiche non da poco, che non sembrano turbare la folla mediatica che purtroppo, da anni, segue questo caso irrisolto della nostra giustizia.

Perché se le prove elencate per sommi capi fossero schiaccianti, se non lasciassero adito a dubbi, se ci fosse lo straccio di una confessione, anche carpendo un’esitazione nelle parole, nel tono, un assassino sarebbe già stato assicurato alla sopraddetta giustizia da tempo. Non ci sarebbero denigratori e fans, non ci sarebbe il morboso gusto del dettaglio diffuso tra parrucchiere e programmi tv in fascia protetta. Non ci sarebbero soffiate sullo spionaggio informatico, che inficiano la credibilità di un lavoro annoso e la nostra idea già malconcia di giustizia. Da Cogne a Garlasco, abbiamo l’ombrosa coscienza che se il criminale non lo becchi subito, poi i tempi diventano infiniti, più le tecniche d’indagine diventano sofisticate e più svelano incongruenze e aumentano i dubbi. E, se c’è una condanna, non soddisfa la ragione e le ragioni, il carnefice per molti si trasforma in vittima, l’opinione si schiera tra innocentisti e colpevolisti, e la fiducia s’incrina, una volta di più.



Ora, non diremo mai abbastanza che nessuna giustizia è perfetta, né tantomeno giusta, che non tiene conto, soprattutto in tanti anni di carcerazione e udienze, dei cambiamenti che possono avvenire in una persona. Per chi crede nell’uomo e tanto più in Dio, ogni giorno può essere nuovo e segnato da un cambiamento. Però lo Stato ha regole e conti da far valere, l’impunità fa scandalo e non è tollerata. Aspettiamo un verdetto certo, prima di condannare una vita. Non ci basta che abbia un viso, un comportamento antipatico o anomalo. 

In un’aula gremita del piccolo tribunale di Bergamo il Massi ha deposto, e aspettava da tempo questo momento. Ha fornito certezze? E’ parso credibile? Ci sono state rivelazioni eclatanti? Lui non conosceva Yara, come ha sempre detto. Lui non si ricorda dov’era il giorno del delitto. E’ plausibile. Lui non sa niente di dna. Se era una prova schiacciante, che bisogno abbiamo di prove? Se non lo è, ci bastano gli indizi? Ci accontenteremo, come sempre. Spegnendo i riflettori sul muratore e sulla sua famiglia. Sempre con in testa quell’aggettivo: probabile. E’ molto probabile che sia lui. Un’affermazione che non ci acquieta per niente.