Un’intemerata un po’ esagerata sui “cattolici divisi” — più del centrodestra e della sinistra — quella di Francesco Agnoli su Libero di ieri. I “buoni” e i “cattivi” nettamente divisi, da un lato e dall’altro. I “buoni” quelli del buon tempo antico, della mano ferma di Ruini sui “valori non negoziabili” e di quella “brava persona” di Bagnasco (un po’ offensiva la difesa di Agnoli delle sue titubanze di schieramento, a dir la verità), prima che fosse “traviato” dalle pressioni di Bertone, desideroso di allinearsi al nuovo corso di Monti in politica. Un desiderio compromissorio con un Potere “al potere” non più ligio ai “valori non negoziabili” della “morale naturale” che avrebbe preso i lapsi nella fede, e spiegherebbe i voltafaccia dei tanti “cattivi”, a cominciare da Julián Carrón, dimentico dei fasti e dei meriti della Cl lombarda di Formigoni (e per sganciarsene si sarebbe inventata la “scelta religiosa” del Movimento), per finire a Ravasi e Forte. Tutti spronati al compromesso laicista con il nuovo corso di Renzi, Boschi e Cirinnà da Mons. Galantino. Non si ha il coraggio di dire che questo spirito compromissorio avrebbe a patrono Francesco (se nuovo corso c’è, è suo), tanto che alla fine Agnoli rivendica l’invito di Francesco ai cattolici a valersi nelle scelte sociali e politiche, più che dei vincoli di un magistero obbligante, della loro “coscienza ben formata”.

A naso, mi sembra che Agnoli ritenga di avere una coscienza ben formata che ha tutti i motivi per avere a dispetto l’aria nuova che con Francesco circola nella Chiesa italiana, quanto meno sui temi affrontati da Agnoli. Un’aria nuova di cui chi scrive crede ci fosse un gran bisogno; anche se forse il primo a rendersene conto è stato Benedetto XVI con il gesto grandioso delle sue dimissioni, che a quell’aria nuova hanno voluto aprire la porta. 

Per la mia scarsa propensione a inquadrarmi in questa o quella militanza politico-ecclesiale (forse, un po’ sentimentalmente, per me la Chiesa è dove posso stare nei paraggi di una Presenza che tiene insieme le domande degli uomini con la loro vita, quale che sia la sua forma, l’istituzione o movimento di riferimento), non ho la competenza di Agnoli a segnare sul taccuino dei buoni e dei cattivi nomi, giravolte, posizioni. Per pura testimonianza personale, che riguarda Cl, mi limito a dire che ho avuto voglia di capirne qualcosa di più, e mi ha fatto un gran bene, quando non ho dovuto sbattere la testa su come si potesse fare scuola di comunità la sera sui testi di Giussani e la mattina dopo votare con convinzione che Ruby era la nipote di Mubarak. Posso non aver capito niente, ma questo ero certo fosse un’incongruenza. E non solo io, ma Cl e la Chiesa italiana non possono non essere grati a Carrón di avercela tolta da sotto gli occhi, anche chiedendo dolorosamente scusa. 

Se questo significa “scelta religiosa”, che scelta religiosa sia: nel merito — spazio pubblico, politica — mi sembra rifarsi all’unico indirizzo “politologico” cui un cattolico dovrebbe dar retta: “la verità vi farà liberi” (Gv 8,32).

E poi un’osservazione più generale: oggi il tema per i cattolici, per la Chiesa, è come stare nella vigna del Signore, che è il mondo, gli uomini con cui siamo insieme. Se ci si può limitare a nascondere nel terreno il talento affidatoci, attribuendo al Signore la nostra durezza, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso, oppure se dobbiamo provare a far fruttare i talenti che abbiamo ricevuto, prendendoci il rischio di investire sulla parola del Signore, sulla nostra capacità di rileggerne i segni oggi, senza stare a una lettera di convenienze rassicuranti che non ci mettono in condizione di salvare nessuno, forse neanche noi stessi in quella che è la Chiesa: non una cappella di persone selezionate, ma un ospedale da campo.