Ad intervenire nel giallo di Lidia Macchi è stato anche l’ex giudice Ottavio D’Agostino, lo stesso che nel 2000 dispose la distruzione dei reperti legati ad uno dei cold case più dolorosi degli ultimi anni ed ancora al centro dell’attenzione dopo l’arresto del presunto assassino, Stefano Binda. Dopo la lettera di chiarimento inviata alla trasmissione Quarto Grado, l’avvocato del giudice, Cesare Cicorella, è intervenuto sul sito de La Prealpina dove oggi puntualizza: “Quando dalla cancelleria gli sottoposero l’istanza di eliminare i corpi di reato, relativi a procedimenti penali assai risalenti nel tempo, fu consegnato un elenco contenente esclusivamente l’indicazione del numero del procedimento penale”. I reperti in questione farebbero riferimento a ben undici vetrini contenenti strisce di liquido seminale che fu prelevato dal corpo di Lidia Macchi dopo il delitto. Il giudice procedette solo dopo aver ottenuto relative indicazioni da parte dell’Ufficio corpi di reato e, stando al suo legale, “Fu altresì precisato che si riferivano a vicende archiviate”.



Numerose sono state le novità sui documenti del caso Lidia Macchi presentati alla trasmissione Quarto Grado nell’ultima puntata, con vari elementi trattati nell’accusa a Stefano Bina, l’unico indagato e in carcere per la morte della giovane ragazza varesina. Tra le tante, molto strana risulta una lettera in cui Stefano Binda scrive a Patrizia Bianchi, l’amica e super teste del caso che ha riconosciuto la grafia di Stefano nella lettera “In morte di un’amica” recapitata ai Binda il giorno dei funerali di Lidia. “Ho avuto modo di meditare a lungo la mia vendetta per l’atto inconsulto compiuto da te la sera prima che io partissi”, scrive Binda all’amica Patrizia concludendo la cartolina, conservata per anni in un cassetto dalla donna. Binda l’aveva mandata dall’arcipelago della Maddalena dall’allora 18enne Stefano. Ma cosa avrà voluto dire in quella lettera? Si riferisce a qualcosa in particolare? E perché ancora non si trova l’arma del delitto se effettivamente è stato lui a commettere l’omicidio?

Quarto Grado è il programma che ha permesso alle indagini sull’omicidio di Lidia Macchi di arrivare prima all’individuazione ed in seguito all’arresto di Stefano Binda. E’ infatti durante una puntata della trasmissione che il conduttore Gianluigi Nuzzi mostra la famosa poesia “In morte d’un’amica” che venne inviata dalla famiglia di Lidia Macchi il giorno del suo funerale. All’epoca gli inquirenti non avevano dubbi che a scriverla fosse stato l’assassino, ma le indagini non portarono mai da nessuna parte. Fino a che, appunto, la poesie non viene mostrata durante una puntata ed una telespettatrice, Patrizia B., riconosce la scrittura perchè simile a quella di una cartolina scritta molti anni prima dall’amico Stefano Binda. Nella puntata di venerdì scorso, Gianluigi Nuzzi ha mostrato in forma inedita tutti i documenti che hanno portato al fermo di Stefano Binda per l’omicidio di Lidia Macchi, dopo che i vari accertamenti l’hanno indicato come l’autore indiscusso della prima poesia. Fra i documenti mostrati, c’è anche il raccoglitore ad anelli, ad edizione limitata e con la copertina riciclata, che combacia perfettamente con i fogli strappati in cui è presente la poesia. Prima dell’arresto gli inquirenti si concentrano anche su altri oggetti inquietanti trovati fra gli effetti di Stefano Binda e che hanno lasciato ancora meno dubbi. Come un’agenda dell’87 in cui il Binda scrive, il giorno del funerale di Lidia Macchi, “Caro Stefano potrebbero strapparti gli occhi, o strapparteli con le tue mani ma quello che hai visto l’hai visto tu. […] Anche di fronte al tuo soffrire venderai te stesso. Disperata prostituzione!”. Allegata si trova un’immagine in bianco e nero della vittima, uccisa con 29 coltellate 29 anni fa. Sempre in quest’agenda, quasi due settimane dopo i funerali di Lidia Macchi, il Binda scrive “Ciò che la notte amara ispirò tra i singhiozzi mano pietosa all’alba, di speranza o promessa anche solo distrugga” e sotto, a matita, “distrutto tutto. Giuro”. Inoltre viene sequestrato durante la perquisizione un foglio in cui è stato scritto con il colore oro “Stefano è un barbaro assassino” ed un foglio con la poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese. Anche quest’ultima è una conferma dei sospetti perché la poesia di Pavese è la preferita del Binda ma è anche la stessa ritrovata all’interno della borsa di Lidia Macchi in seguito al ritrovamento del corpo. E’ su questo scritto che si sofferma la perizia degli esperti e che porta poi alla conferma che l’autore è la stessa persona. Sono tanti quindi gli elementi contro Stefano Binda, accusato di aver ucciso Lidia Macchi. Un segreto che l’uomo ha nascosto non troppo gelosamente e da cui si sentiva evidentemente tormentato. Un caso fortuito ha voluto che proprio l’amica Patrizia P. conservasse gelosamente quella cartolina che le aveva scritto all’epoca per oltre 30 anni e senza la quale ancora, probabilmente, le indagini brancolerebbero nel buio. 

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