La notizia è di quelle che fanno gelare il sangue. Un’infermiera, Fausta Bonino, 56 anni, vita professionale e personale impeccabile, ha ucciso tredici persone. Tredici pazienti affidati alle sue cure. Le ha uccise con una medicina semplice, l’eparina, un anticoagulante di uso comune (se l’è iniettata più volte anche il sottoscritto). Lo strumento che doveva dare la vita è servito a dare la morte. Naturalmente, sono già scattate le polemiche sui controlli: era depressa, assumeva psicofarmaci, beveva, qualcuno avrebbe dovuto accorgersene. I decessi erano inconsueti, qualcuno avrebbe dovuto accorgersene, avrebbero dovuto fermarla prima.



Il riflesso condizionato del pensiero moderno, che “sogna sistemi talmente perfetti da rendere inutile agli uomini di essere buoni”, come scrive il poeta. Lo stesso che è scattato quando il pilota di Germanwings si è schiantato sulle Alpi coi suoi 150 passeggeri, che doveva portare verso la vita e ha condotto alla morte. Lo stesso che scatta ogni volta che un attentatore fa strage di innocenti, come a Lahore, decine e decine di bambini che giocavano sereni e di mamme che se li mangiavano con gli occhi.



Il giorno dopo, c’è sempre qualcuno che dice “io l’avevo detto, bisognava sorvegliare di più”. Sì, bisogna sorvegliare di più, senz’altro, siamo in guerra. Ma è una guerra universale, una guerra che può colpire ovunque. Perché è una guerra che si combatte in fondo al cuore di ciascuno.

Scriveva Baruch Spinoza, il filosofo del Seicento che adorava la natura e la scienza e ha costruito una geometria della passioni umane che sognava portasse alla liberazione del mondo dal male (non c’è riuscito, ma la descrizione che fa dell’animo umano rimane magistrale): “Se qualcuno, avendo cominciato a odiare una cosa amata, arriverà al punto che il suo Amore sia completamente annullato, egli tratterà quella cosa — a parità di condizioni — con Odio maggiore che se non l’avesse mai amata, e con un Odio tanto maggiore quanto maggiore era stato in precedenza l’Amore”. Quanto più hai amato una cosa — mi permetto di parafrasare — tanto più, quando ti accorgi che quella cosa non corrisponde al tuo desiderio, non colma il tuo bisogno di felicità, arriverai a odiarla. Quanto più l’investimento affettivo positivo che hai fatto su di lei è stato intenso, tanto più, quando il sentimento cambia di segno, si trasforma in una ostilità sorda, accanita, implacabile. Succede tra un uomo e una donna. Succede con gli amici, con il lavoro, con i figli. Con tutto. Succede, alle volte, con la vita stessa. 



Ognuno viene al mondo con un sentimento buono nei confronti della vita, con un desiderio di felicità, col presentimento che la realtà gli offra qualche cosa di buono. Poi, spesso, troppo spesso, la vita delude questa attesa. Perché capita che qualcuno ti tradisca. Perché qualcuno ti insegna a odiare. Perché, semplicemente, giorno dopo giorno, la banalità delle cose — “la fatica interminabile, lo sforzo per star vivi d’ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come mosche d’estate — il vivere che taglia le gambe” di Pavese — disillude.

“O natura, o natura,/ perché non rendi poi/quel che prometti allor? Perché di tanto/inganni i figli tuoi?” è il grido disperato di Leopardi di fronte a questa drammatica scoperta. E allora può succedere che l’amore per la vita si trasformi in odio. Un odio sordo, accanito, implacabile. Che a volte, troppe volte, può esplodere. In un parco giochi di Lahore. Nella cabina di un aeroplano attrezzato per ogni emergenza. O nelle corsie di un ospedale pulito, ordinato, efficiente. Sì, bisogna sorvegliare di più, senz’altro, siamo in guerra. Ma è una guerra universale, una guerra che può colpire ovunque. Perché è una guerra che si combatte in fondo al cuore di ciascuno.