Papa Francesco ci regala un altro testo da leggere, rileggere e meditare. Ruminare, verrebbe da dire. Da leggere d’un fiato, ma anche da interrogare nelle sue singole parti sulla base delle domande che via via ci si presentano e delle esigenze che ci muovono: pastorali, educative, esistenziali.
Parole che, se non si fa finta di non sentirle, non possono non mettere in movimento. E non solo le famiglie, ma anche la Chiesa!
Un testo ricchissimo. Senza pretendere di esaurirlo, si possono riconoscere alcuni punti fermi, indicazioni precise che il Papa ci offre.
Punto primo: superare la frammentazione. Invece che moltiplicare temi, eventi, dichiarazioni Papa Francesco ha scelto la cifra del suo pontificato — la misericordia — e la declina in ogni ambito: il sinodo, il giubileo, la messa al confine messicano, la visita a Lampedusa e quella annunciata a Lesbo, le encicliche e le esortazioni sono scintille di uno stesso grande fuoco, che certo arde in lui, e che grazie a Dio è contagioso. Solo se passa questa luce e questo calore la parola “famiglia” può “toccare le fibre più intime dei giovani” (40) e diventare sogno e progetto.
Quindi basta contrapporre dottrina e misericordia, teoria e prassi, rigore e buonismo: la dottrina cattolica è la misericordia di Dio, che si fa via verità e vita in Gesù. La misericordia è la nostra dottrina, e questo ha conseguenze: di accoglienza, di vicinanza, di inclusione. Di tenerezza (“virtù, piuttosto ignorata in questi tempi di relazioni frenetiche e superficiali”, 28). Le uniche durezze di Gesù erano rivolte a scribi e farisei, ai dottori della legge che brandivano la lettera avendo perso lo spirito. Cosa che accade anche oggi, quando ‘invece di offrire la forza risanatrice della grazia e la luce del Vangelo, alcuni vogliono “indottrinare” il Vangelo, trasformarlo in “pietre morte da scagliare contro gli altri” (49). L’unico che poteva scagliare la pietra contro l’adultera era Gesù, e non lo ha fatto.
Punto secondo: che bello un discorso sulla famiglia che mostra di conoscerla da vicino, che parla il suo linguaggio, che la interpella direttamente (come quando si rivolge alle mamme, ai fidanzati: 171, 212), che parte dalla famiglia concreta, di carne, e non dal modello cui dovremmo aspirare. Non “uno stereotipo della famiglia ideale, bensì un interpellante mosaico formato da tante realtà diverse, piene di gioie, drammi e sogni” (57).
Gioie, drammi e sogni che noi che siamo famiglia e combattiamo ogni giorno contro un mondo che va dalla parte opposta, un fisco che ci penalizza, servizi che non ci sono o costano troppo e tutto il resto vediamo rappresentati, compresi, cantati e benedetti in queste parole del Papa. In tanti passaggi, vera poesia.
La poesia del quotidiano non dobbiamo dimenticarla, lasciare che venga schiacciata sotto pesi tante volte inutili: perché fa respirare la vita familiare, le dà sapore e leggerezza. La famiglia qui è raccontata con parole che le rendono giustizia. Il linguaggio della gioia è il medium che meglio comunica il messaggio della famiglia. Non la famiglia del diritto, ma quella della vita.
L’astrazione invece è violenta: tutto ciò che non sta nella categoria, che fuoriesce dal modello, diventa subito scarto. La misericordia segue il percorso opposto: si china sulla fragilità, la guarda e la ama, e poi cerca di curare le ferite.
Punto terzo: con la sua visione “mistica” (che è poi quella dell’incarnazione, del tutto nel frammento, dell’eterno nel quotidiano, del limite che diventa porta dell’infinito, del linguaggio delle parabole che parla del regno di Dio) Papa Francesco ridona dignità alla concretezza, che poi è la dimensione delle nostre vite. Il concreto non è il particolare. Non è nemmeno il frammento, la scheggia che va per conto suo, che non si riesce a ricondurre a unità. Casomai, è il singolare, quella storia sacra e unica che siamo ciascuno di noi, dove brilla una scintilla di infinito. Sono i gesti piccoli e umili di ogni giorno, dove l’opacità della ripetizione è illuminata dalla bellezza di un senso, che è l’amore.
Il concreto è la parte, sacra, di un tutto da cui riceve valore in se stessa e oltre se stessa. Il concreto rompe i dualismi che ci hanno bloccato e impoverito. Quelli in cui da una parte e dall’altra opposti fondamentalismi cercano continuamente di ricacciare le parole di Papa Francesco, il quale, guardando l’orizzonte, avanza serenamente lungo la via che lo Spirito gli suggerisce. “Cattolico” non significa universale astratto, ma universale concreto. Verbo di salvezza per tutti fatta carne in una storia. E in una famiglia.
Punto quarto: ripensare la relazione tra il tempo e lo spazio, sapendo che il secondo è superiore al primo. Su tante questioni che ci interpellano vorremmo la ricetta pronta subito, hic et nunc. La regola chiara. E invece il Papa ci dice che è percorrendo la via, insieme, che si entra nella verità. Con la pazienza del realismo e il passo del pellegrino. La legge è atemporale, la misericordia fa entrare la nostra storia nel tempo della salvezza. Non è un’amnistia né il premio per la nostra buona condotta, ma esattamente il contrario: è lo sguardo di amore sulla nostra miseria che ci rende capaci di un movimento nuovo, di una con-versione. Il “non” come “non ancora” che accompagna e confida in una pienezza a venire e non come porta chiusa.
Una considerazione a latere: ci si lamenta che i ragazzi dopo la cresima abbandonano la chiesa, anche perché non hanno sostegno né dai pari né dai genitori. Abbiamo mai pensato quale testimonianza per i figli è vedere che genitori che per situazioni “irregolari” (uso le virgolette come fa il Papa) non hanno accesso ai sacramenti soffrono per questo eppure continuano a sentirsi nella chiesa, facendo dell’appartenenza piena il desiderio che muove la loro vita?
Punto quinto: la famiglia concreta è la famiglia larga, e la famiglia che cambia: non ci sono solo i genitori e le loro questioni, ma ci sono i figli e i loro bisogni imprescindibili, le loro gioie e sofferenze. Troppo poco considerati fin qui, finalmente guardati con amorevole sollecitudine, spendendo le parole necessarie, nella Amoris Laetitia. C’è il rapporto tra i fratelli: se di fraternità saremo capaci, è perché l’abbiamo imparata in famiglia. Certo che se di fratelli non ne abbiamo… E se invece imparassimo a considerare fratelli anche quelli che non hanno lo stesso sangue, ma accolti diventano parte della famiglia? Adozione e affido sono vie pienamente generative (AL 82, 179-181). Poi ci sono i nonni, gli zii, perfino i suoceri (198). La famiglia non è una estensione dell’individuo, ma l’anello di una catena lunga, che ci precede, ci accompagna, va oltre di noi.
E poi la famiglia vive! Quindi nasce, cresce, si trasforma, invecchia… L’inizio, la nascita dei figli, il loro crescere e andarsene, l’accudimento dei genitori anziani, l’invecchiamento e le malattie, senza contare le prove che la vita ci riserva fanno sì che la famiglia sia sempre la stessa ma anche sempre nuova: e se non cambia non può stare insieme.
Punto sesto: Il privato e il pubblico. La famiglia non è una scelta privata (quella è la convivenza). Fare famiglia è decidere di attraversare insieme l’avventura della vita. In uscita, perché l’amore o è fecondo o non è: “L’amore dà sempre vita. Per questo, l’amore coniugale non si esaurisce all’interno della coppia” (165). La famiglia non è un nido piccolo (187) ma una casa con le porte aperte, che di accoglienza si nutre e si rigenera. Che diventa segno per il mondo: “Una coppia di sposi che sperimenta la forza dell’amore, sa che tale amore è chiamato a sanare le ferite degli abbandonati, a instaurare la cultura dell’incontro, a lottare per la giustizia” (183). Come è detto anche dai bellissimi versi del poeta uruguaiano Mario Benedetti: “ti amo perché le tue mani /si adoperano per la giustizia” (AL 181). Senza questo respiro oltre se stessa, senza questo partecipare contribuendo al mondo intorno, la famiglia si ammala e inaridisce.
Abbiamo tanta paura che il mondo distrugga la famiglia, che sia un nemico da cui difendersi. Con il suo respiro grande Papa Francesco ribalta la prospettiva: “Dio ha affidato alla famiglia il progetto di rendere ‘domestico’ il mondo” (183).
Arturo Paoli invitava ad “amorizzare il mondo”. E’ il compito, entusiasmante, che ci aspetta.
Solo la famiglia, e una chiesa che sia davvero famiglia (paterna e materna) può realizzarlo.