Commentare — che poi significa fermarsi con la mente, meditare — l’esortazione apostolica del Papa Amoris Laetitia esige che si segua il consiglio che Francesco dà per la sua lettura. Non avere fretta con questo testo. Tornarci su ogni volta che serva a trovarvi un aiuto al proprio discernimento in questa o quell’occasione, in questa o quella domanda, che riguardi la famiglia oggi. Non compulsarla, per trarne istruzioni per l’uso, sostitutive della propria coscienza, ma aiutarsi con il suo magistero a “formarsi” la coscienza che serve a “vivere” la famiglia oggi, e a condursi in essa.
Alla luce certo della certezza, anche dottrinale, che ci viene dal Vangelo, ma “con i piedi per terra”, con gli occhi alle sue novità, alle sue difficoltà, alle sue speranze, che poi ne sono la concretezza, talora accidentata, della sua quotidiana laetitia; della gioia dell’amore che nella famiglia possiamo e dobbiamo trovarvi. Perché è alla fine lì, nelle braccia della famiglia, che ci sono molte delle ragioni, e forse la gran parte, della nostra giornata, del senso di viverla.
Un’evidenza antropologica (“la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie”) che i padri sinodali hanno potuto in due anni di lavoro, “malgrado i numerosi segni di crisi del matrimonio”, ritrovare viva nel “desiderio di famiglia, in specie tra i giovani”; e che è “il giubilo della Chiesa”, e la motiva alla fertilità dell’annuncio cristiano che riguarda la famiglia. Un’evidenza antropologica che chiama tutti “a prendersi cura con amore della vita delle famiglie, perché esse ‘non sono un problema, sono principalmente un’opportunità'”.
E da cui innanzi tutto la Chiesa si sente chiamata, certo alla luce della “necessaria unità di dottrina e di prassi”, ma nella consapevolezza — che poi sono gli occhi che la fede deve saper tenere aperti sulla realtà dell’uomo — che “esistono diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano”. E “questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo”.
Fino a quel momento siamo consegnati tutti, anche il Magistero, alla nostra umiltà di uomini che guardano i fratelli, soprattutto quelli in difficoltà, con gli occhi con cui li avrebbe guardati Cristo, non con il legalismo di una dottrina che, immaginatosi l’uomo che dovrebbe essere, perda poi di vista o non parli più all’uomo cui può rivolgersi, per guadagnarlo o riguadagnarlo a Cristo e alla Chiesa. Perché “le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato”. Insomma missionarietà pastorale, accogliere prima di istruire; integrazione, applicazione, discernimento, perché la “dottrina” non sia un giogo sotto cui passare per essere di Cristo, ma la custodia di una speranza per l’uomo, quella che ci è stata consegnata.
Questa impostazione garantisce all’esortazione apostolica di stabilizzare sul piano pastorale, e dottrinale, gli esiti più fecondi dei due anni di lavoro sinodali sulla famiglia: l’attenzione alla specificità delle culture cui si rivolge l’annuncio cristiano; l’accoglienza ecclesiale e la valorizzazione nella vita della Chiesa dei cosiddetti “irregolari” quanto al loro percorso matrimoniale, a cominciare dai divorziati risposati; lo sguardo al femminile — contro ogni violenza contro le donne — sulla vita delle coppie; il rispetto e la piena dignità nella Chiesa e per la Chiesa per gli omosessuali, che non significa affatto cedere ad improprie equiparazioni al matrimonio (nelle sue ragioni fondative dell’umana società, affidate alla coppia eterosessuale procreativa), ma togliere alla condizione omosessuale l’insostenibilità di uno stigma di peccato, che non sta né in cielo né in terra, se la sessualità è un dono di Dio alle creature, e non è immaginabile che a qualcuno la si possa far vivere come segno di una “minorità” della propria filiazione creaturale.
Insomma di “aperture” pastorali, e più implicitamente dottrinali, importanti in questo testo di Francesco ce ne sono. Ma quel che più importa è il motivo per cui vi sono: la riapertura o una più piena apertura del cuore della Chiesa — che è poi il cuore dei fedeli — al mistero dell’uomo che gli è stato affidato. Motivo per cui alla fine le “brevi linee di spiritualità familiare”, come le chiama il Papa, con cui l’Esortazione si chiude, hanno un afflato che può ben abbracciare ogni famiglia oggi, ogni incontro tra uomo e donna che generi figli e li cresca, e ogni solidarietà umana che viva insieme la quotidiana speranza della propria vita, della laetitia che può recarvi l’amore. Anche fuori dai “recinti” — confessionali e culturali — dell’annuncio cristiano. Un’Esortazione la cui “cattolicità” è alla fine, come in molte proposte di Francesco, innanzi tutto “umana”, e fa dell’annuncio cristiano, anche quello che riguarda la famiglia, qualcosa di interessante per tutti.