L’11 aprile 2016 è stata pubblicata una controversa decisione del Comitato europeo dei diritti sociali in materia di obiezione di coscienza e interruzione volontaria di gravidanza. Il Comitato, organismo del Consiglio d’Europa, si è espresso in risposta ad un reclamo collettivo presentato nel 2013 dalla Cgil, la quale denunciava, accanto ad altri motivi di reclamo non accolti dal Comitato, la violazione dell’articolo 11 (diritto alla salute) e dell’articolo E (principio di non discriminazione) della Carta sociale europea rispettivamente per la violazione del diritto alla salute della donna derivante dalle modalità con cui viene data applicazione nell’ordinamento italiano alla disciplina in materia di obiezione di coscienza nei casi di aborto (art. 9, legge n. 194/1978) nonché per la discriminazione dei medici non obiettori.



Nell’imminenza della pubblicazione della decisione del Comitato, sono state diffuse dalla stampa alcune notizie e alcuni dati che avvalorerebbero la pronuncia dell’organismo del Consiglio d’Europa; dati che, denuncia la Laiga (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’Applicazione della Legge 194/78), dimostrano come l’obiezione di coscienza renda, di fatto, inapplicabile la legge n. 194, arrecando un vulnus alla tutela della salute della donne che decidono di usufruire del servizio di interruzione della gravidanza a tutela della propria salute. 



In risposta alla decisione del Comitato e, soprattutto, in risposta alle notizie circolate su alcune testate giornalistiche, il ministero della Salute ha diffuso un comunicato nel quale si smentiscono, opportunamente, i dati riportati dalla stampa, peraltro non corredati dalla citazione delle relative fonti. A riprova della scarsa attendibilità di certe fonti di informazione. 

Il ministero rileva come il Comitato economico e sociale non abbia considerato le più recenti informazioni contenute nella più recente Relazione al Parlamento sull’applicazione della legge 194, nella quale la rilevazione del numero di medici obiettori (che contiene i dati definitivi dell’anno 2013 e quelli preliminari dell’anno 2014) non è avvenuta solamente a livello nazionale e regionale ma anche sub-regionale (con riferimento, quindi, alle singole Asl). La relazione, i cui dati sono stati oggetto di verifica ed elaborazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità e Ministero, riporta un dimezzamento di interruzioni volontarie della gravidanza dall’entrata in vigore della legge: a fronte di 233.973 Ivg praticate nel 1983, nel 2013 si sono registrate 102.760 Ivg e nel 2014 97.535 Ivg. 



Nonostante l’abbassamento esponenziale del numero di Ivg, sostanzialmente invariato è invece rimasto il numero di medici obiettori, che se nel 1983 erano pari a 1.607, nel 2013 sono stati 1.490, con il conseguente dimezzamento, a livello nazionale, di Ivg a settimana (se i medici obiettori nel 1983 effettuavano 3.3 Ivg a settimana, nel 2013 ne hanno effettuate 1.6 a settimana). Vi sono — ovviamente — alcune poche situazioni particolari in cui i medici non obiettori arrivano fino a circa 10 Ivg a settimana ma esse sono conosciute e monitorate. 

La Relazione conclude affermando come “l’offerta del servizio in relazione al diritto di obiezione di coscienza degli operatori (carico di lavoro medio settimanale di Ivg per ogni ginecologo non obiettore), indica una sostanziale stabilità del carico di lavoro settimanale per ciascun ginecologo non obiettore”. 

I dati contenuti nella recente Relazione mostrano pertanto, da un lato, la congruità del numero di obiettori rispetto alle Ivg richieste ed effettuate e, dall’altro, un rapporto di non diretta causalità tra numero di obiettori di coscienza e interruzioni di gravidanza attuate. Si tratta, come si vede, di dati da considerare attentamente e che tendono a smentire notizie date in modo quanto meno parziale.