Svolta clamorosa nel caso di Giuseppe Uva: la Corte D’Assise di Varese ha appena assolto tutti i poliziotti e carabinieri coinvolti nel drammatico caso di cronaca che ha portato alla morte il ragazzo nel lontano giugno 2008. Due carabinieri e sei poliziotti, erano gli accusati di omicidio preterintenzionale nel processo con al centro la morte di Giuseppe Uva, deceduto all’ospedale di Varese dopo aver trascorso parte della notte nella caserma di Carabinieri. Svolta incredibile in un caso che ha generato e siamo certi farà ancora molto rumore: alla lettura della sentenza gli imputati si sono abbracciati mentre una parente di Uva è uscita dall’aula gridando “maledetti”, come riporta l’Ansa. Giuseppe Uva, l’operaio fermato nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2008 in una Caserma di Varese, morì misteriosamente poche ore dopo in ospedale. A metà gennaio, quando ci furono le richieste del pm di totale assoluzione per gli imputati dell’Arma e della Celere, fu spiegato che Alberto Biggioggero, amico di Uva e presente quella notte in caserma, non è un testimone attendibile, suscitando polemiche in aula e anche in queste ore. «Biggioggero non è attendibile perché ha prima affermato una cosa e poi l’altra e quella sera era completamente ubriaco», le parole del pm Daniela Borgonovo. Per il legale di parte civile di Lucia Uva (sorella di Giuseppe), la ricostruzione della Procura è «assolutamente parziale e che sarà smentita, del resto un giudice ha già smentito tre pm», le parole di Fabio Ambrosetti, avvocato della difesa che fa riferimento alle due richieste di archiviazione presentate dalla procura poi respinte comunque dal tribunale. Ironica la reazione di Lucia Uva: «complimenti alla Borgonovo, dopo sette anni questo è il risultato, complimenti. «Continueremo la nostra battaglia», ha voluto dire oggi proprio Lucia Uva, commentano una sentenza per lei davvero beffarda. «Giuseppe Uva aspetto giustizia» era la scritta della t-shirt con cui la sorella si era presentata stamattina in aula, mentre alla fine della sentenza ne ha indossata un’altra con scritto “assolti perché il fatto non sussiste”.