“I social network non servono ai partiti per aumentare i loro consensi, ma soprattutto ad annullare i costi e le distanze. E’ questa l’intuizione di Casaleggio che ora Renzi sta facendo propria”. E’ l’opinione di Arnaldo Ferrari Nasi, analista politico e fondatore della Ferrari Nasi & Associati, che basandosi su dati Istat e We Are Social fa notare come sul totale degli elettori italiani soltanto il 21% sia su Facebook e il 7% su Twitter. Del resto soltanto il 63% degli italiani dispongono di Internet, un dato molto più vicino a quello del Marocco (61%) che della Francia (86%). Eppure Renzi ha deciso di scommettere sui social network con l’iniziativa #matteorisponde , con la quale risponde in diretta a chi gli rivolge delle domande su Facebook e Twitter.



Il messaggio che vuole dare Renzi è che lui è il nuovo Casaleggio?

Tanto su Renzi quanto su Casaleggio, secondo me c’è un errore d’interpretazione molto grande. La principale innovazione del metodo Casaleggio-Grillo non è stata quella di pensare che con la rete si potesse influenzare il voto, bensì di usare Internet per annullare i costi e le distanze.



In che senso?

Un nuovo movimento politico nazionale su base tradizionale richiede una riunione alla settimana. Prima ancora bisogna andare a Roma con il Frecciarossa per mettere la firma al notaio, quindi incontrarsi per eleggere il consiglio direttivo. Si deve inoltre affittare una sede e quindi spendere cifre elevate. I nostri uomini politici lavorano ancora in questo modo.

Perché lo ritiene un modo superato?

Perché su Skype invece si possono tenere conference call gratuite fino a 25 persone, mentre con un abbonamento da pochi Euro l’anno si possono fare con un numero di persone pressochè illimitato. E’ questa la novità di Casaleggio; che poi non è una novità perché è ciò la maggior parte degli imprenditori privati fa già da tempo.



Quanti voti sposta il fatto che Renzi risponda a chi gli scrive su Facebook?

Questo non lo può dire nessuno. Le azioni di comunicazione politica non sono misurabili singolarmente, tranne che in particolari casi e con costi improponibili. Le azioni di comunicazione politica vengono misurate nella loro ed in altre sinergie, quelle tradizionali di campagna, tramite gli effetti che producono. Come il “tracking” nelle ricerche di mercato, ad esempio stimando le intenzioni di voto o la fiducia per il leader. E’ importante segnalare che chi afferma il contrario è un millantatore. In ogni caso, Renzi risponde su Facebook così come lo fanno tutti gli uomini politici. La maggior parte delle volte non lo fanno personalmente ma attraverso il loro staff.

Per Renzi è anche un modo per rilanciare la sfida in vista del referendum costituzionale. Che cosa ne pensa del fatto che abbia iniziato con quattro mesi di anticipo?

La legge alla Camera è passata adesso, quindi è naturale che se ne parli in questo momento. Il referendum di ottobre per Renzi è una vera e propria “tagliola”, basti pensare a come andarono le cose con la riforma costituzionale della Lega nel 2006. Tutti i partiti sono coalizzati per il no, inclusa la sinistra non renziana. Non mi stupisce però che Renzi abbia personalizzato questa sfida. Noi veniamo da 20 anni di “Seconda Repubblica” in cui tutte le elezioni e i referendum erano personalizzati sulla figura di Berlusconi.

Che cosa ne pensa di chi afferma che è un presidenzialismo sotto mentite spoglie?

Non è così. Non dimentichiamoci che anche con questa riforma gli elettori non eleggeranno il presidente del consiglio, perché la costituzione non lo prevede, bensì il Parlamento. Nulla vieta che 200 parlamentari eletti nel Pd da un giorno all’altro passino in Forza Italia, e a quel punto il Quirinale sarà costretto – per Costituzione – a verificare che non vi sia una nuova maggioranza e a scegliere un presidente del consiglio di centrodestra.

 

Intanto anche il referendum sulle trivelle può trasformarsi in un plebiscito a favore o contro Renzi. Lei che cosa si aspetta?

Fino al 10 aprile, al tema del referendum sulle trivelle erano state dedicate soltanto 11 ore da La7, 9 ore dalla Rai e 2 ore da Mediaset. Lo scandalo del ministro Guidi riportava in auge un tema che era assolutamente consono a una discussione sul referendum del 17 aprile. Poteva quindi diventare un’occasione per sensibilizzare la popolazione.

 

Perché questo non è avvenuto?

Perché in realtà le opposizioni hanno scelto di utilizzarlo come tema contro il governo, deviando così ancora una volta l’attenzione dell’opinione pubblica dalle trivelle. E’ in ogni caso difficile dire come andrà a finire. Il sentimento della popolazione è quello di non dare il permesso sulle trivelle, così come avevano detto no al nucleare. Peccato perché, come dice un mio collega svizzero, “dove c’è trivella c’è vita”.

 

(Pietro Vernizzi)