A Legnano una ragazzina disabile di una scuola media ha rinunciato alla gita scolastica perché, a detta dei genitori, nessuno dei compagni di classe, con uno scambio di messaggini sul cellulare, la voleva in camera con sé. Da qui la denuncia dei genitori a provveditorato e ministero e la strumentalizzazione politica dei Cinque Stelle che, in Regione Lombardia, straparlano di discriminazione e, bum!, cyberbullismo.
L’episodio assomiglia a un altro paio di casi, quello di un ragazzo autistico di Livorno che il giorno della gita si è ritrovato da solo a scuola con l’insegnante di sostegno e di un altro episodio simile in Molise. E, come sempre, istigato dall’informazione e da politici in cerca di voti, parte il linciaggio sui social, naturalmente contro la scuola, l’indignazione per l’immoralità degli insegnanti (“ma che razza di educatori abbiamo in giro!” tuona uno dei tanti chattari in rete) e addirittura la ridicola campagna con tanto di foto e di cartello “io sono Giulio” (il ragazzo di Livorno) alla maniera di “io sono Charlie” dopo la strage parigina della redazione del giornale satirico Charlie Ebdo (e da un po’ di tempo dopo ogni strage terroristica), lanciata perfino da associazioni per disabili e autistici — e chi più ne ha, più ne metta.
Interviene anche Renzi, ovviamente a difesa dei ragazzini “discriminati”, si parla di ritorno del razzismo, si preannunciano ispezioni ministeriali, si invoca l’intervento dello Stato e altre corbellerie e sciocchezze del genere. Quasi mai, stranamente, si raccoglie la testimonianza della scuola, soprattutto degli insegnanti (i dirigenti, in questi casi, spesso scaricano il barile su di loro). I docenti quasi sempre, e giustamente, tacciono, pur sapendo che nessuno li ascolterà, tantomeno difenderà.
Ora, fatto salvo che, com’è ovvio, la scuola ha il dovere della massima accoglienza e della garanzia della pari opportunità per tutti e che, quindi, se di effettiva discriminazione si tratta è doverosa un’opportuna riparazione, tuttavia questa folla di sparasentenze e veleni, dai politici in giù, dovrebbe avere almeno il pudore di informarsi sulla realtà e di accogliere tutte le versioni dei fatti, anziché sputare condanne ingiuste e, stavolta sì, discriminatorie.
Al di là di questi singoli casi, innanzitutto, la realtà è questa: la scuola è priva di risorse, screditata ormai agli occhi di tutti, svuotata delle sue funzioni. Priva di risorse perché, per quanto riguarda l’istruzione e anche solo l’accoglienza dei ragazzi disabili, gli insegnanti di sostegno sono pochissimi e sempre meno e i nuovi assunti assolutamente impreparati perché nessuno (leggasi lo Stato) si prende la briga di formarli: si procede assolutamente a caso, senza una preparazione la cui mancanza non è certo colpa degli insegnanti, ai quali l’aggiornamento non è riconosciuto né come competenza che formi un portfolio professionalmente spendibile né, figuriamoci, pagato.
I docenti poi sono assolutamente abbandonati alla loro responsabilità: si pretende che facciano gite e iniziative mirabolanti (a proposito: le ore di lavoro extra che una gita comporta sono da fare gratis, unico caso al mondo in cui lo straordinario è obbligatorio e non remunerato), si pretende che non siano troppo severi per non tarpare le ali alla creatività, anche nel vandalismo, dei cari allievi, si chiede di portarsi in giro per le foreste e per ore di pullman autistici e disabili e poi, se succede qualcosa, li si denuncia. È notizia d’attualità l’aumento esponenziale di casi giudiziari a carico degli insegnanti, la categoria più bersagliata assieme ai medici.
Si assiste frequentemente anche ad uno strano meccanismo psicologico: certo, la vita con un figlio diversamente abile in casa è dura, tanto più in presenza di casi di autismo, ma è come se tanti genitori dessero la colpa di questo allo Stato, all’insegnante, alla scuola, che non fanno mai abbastanza. Pazienza se poi ci sono classi in cui fare lezioni è durissimo e, certi giorni, quasi impossibile, perché certe presenze hanno bisogno di sorveglianza continua e attentissima, pazienza se migliaia di gite in migliaia di classi già ora si decide di non farle, per non “discriminare” uno solo. Alla discriminazione di tutti gli altri, che non potranno mai fare interessanti esperienze formative per l’impossibilità di seguire uno solo, nessuno ci pensa. E nessuno fa battaglie.
A proposito del fatto di Legnano, poi, dell’uso di whatsapp e del cellulare a scuola, si ha notizia di recenti casi di insegnanti denunciati o ispezionati da genitori e dirigenti per aver sequestrato i cellulari, proprietà privata dei poveri allievi discriminati, e del fatto che ormai ogni classe d’Italia ha la chat di gruppo dei genitori, spessissimo strumento di chiacchiere e maldicenze, guarda un po’, sulla scuola e sui docenti. Per non parlare della latitanza frequentissima dei dirigenti scolastici che, da bravi dirigenti dello Stato, quasi sempre hanno come massimo problema quello di schivare le grane di responsabilità, lasciandole, guarda un po’, agli insegnanti.
Che dire? È ovvio che il dovere dei docenti, ripeto, è quello di non discriminare nessuno, ma è altrettanto ovvio che i casi di discriminazione sono rarissimi, soprattutto in una situazione come quella odierna di una scuola continuamente sotto i riflettori dell’alleanza malefica tra genitori pretenziosi e presuntuosi e dirigenti infingardi, rafforzata da un’informazione superficiale e urlante e da politici a dir poco populisti. Il motivo per cui i docenti continuino a prestarsi a fare gite e attività gratuite rimane un mistero, spiegabile solo con la persistenza di una passione educativa ai limiti della missione, di cui nessuno ormai, proprio nessuno, ha intenzione di accorgersi.