Pietro Maso, il ragazzo che negli anni 90 uccise con i propri amici i suoi genitori, scrive a Manuel Foffo, l’assassino di Luca Varani, seviziato a morte insieme ad un amico per realizzare, in modo surrogato, il desiderio oscuro di uccidere il proprio padre. Una lettera da killer a killer, un episodio da affidare alla cronaca nera se non fosse che da quelle righe, pubblicate ieri sulla stampa nazionale, emerge qualcosa di più inquietante, qualcosa che è necessario guardare in faccia perché ci riguarda. Tutti.
Maso dimostra infatti una conoscenza di sé, delle dinamiche psicologiche che lo portarono all’omicidio, che è davvero sorprendente; la sua pretesa di applicarle alla storia di Foffo è, invece, inquietante perché rende evidente una tentazione che si annida nel cuore dell’uomo, quella di conoscere — di sapere — con lo scopo di “chiudere”, di spiegare, tutto. La conoscenza, anche quella più solida e autentica, ci può portare ad evitare la realtà, il dramma e il Mistero che noi siamo e che gli altri sono. Maso sembra sapere tutto di se stesso, sembra comprendersi con autorità e profondità, ma non pare mai essere giunto al punto in cui la conoscenza — qualunque conoscenza — diventa “sapienza”, ossia il momento in cui affiora, nuda, la domanda sul perché, sul motivo, che ci spinge ad essere quello che siamo.
Perché quello che ci troviamo addosso c’è? È semplicemente un guasto o c’è di più? Maso si è così scomposto in tanti fattori da non avere più un Io capace di pentirsi e di chiedere scusa. Mostra empatia per Foffo, ma la sua è la commiserazione di chi non è ancora riuscito a chiedersi perdono e di chi si rifugia nelle comode ragioni della psicologia o dell’antropologia per evitare di guardarsi in faccia, di stare di fronte a sé. La camera di Maso è una stanza senza specchi: guardarsi potrebbe risultare insopportabile e orribile. E questo accade perché la camera di Maso è uno spazio vuoto, un luogo privo di Qualcuno che possa perdonare, che possa rendere sopportabile lo sguardo nello specchio.
Nel comodo salotto dell’Occidente il potere ha portato via gli specchi. E così su tutto, dal matrimonio all’educazione, dalla politica al lavoro, nessuno riesce più a guardare le cose con il riflesso di sé nel cuore. È scomparsa l’esperienza, sono rimaste solo le impressioni. Nella società degli alienati e delle regole la lettera di Pietro Maso è la testimonianza di uno che conosce bene l’arredamento della casa dove vive, ma che — a causa della paura di guardarsi — non riesce più a riconoscere accanto a sé un volto umano, un volto capace di abbracciarlo.
E questo riconoscimento è il punto decisivo per tutti. Perché senza perdono non si ricomincia. Magari si capiscono tante cose, ma non si riparte. È questa la triste condanna del nostro tempo: capire tutto, ma non potere mai, in definitiva, essere abbracciati da niente. E il vuoto regna incontrastato, divorando le parti più vere del nostro cuore, lasciando le nostre speranze in misero ostaggio ai nostri mostri.