A Genova, scuola media della Valbisagno, una studentessa chiede conferma all’insegnante di musica di una cosa che ha sentito dire su Lucio Battisti: e cioè che era un fascista. E lui le dà quattro. Per giunta, poi, sul registro scrive una nota di demerito: “Superficiale. Interviene fuori luogo, in modo ineducato e provocatorio. Accosta il fascismo ai cantautori degli anni sessanta/settanta. Ride”. Il padre della ragazza rimane ferito e fa scoppiare il caso: “Sono rimasto sconcertato non tanto per il voto, mia figlia ha tutti nove e dieci, quanto per il metodo. Un’adolescente pone una questione, dà un’opinione, e invece di creare dibattito le si dice di stare zitta?”.



Di solito un quattro in musica alle medie non è una notizia da prima pagina. Ma la notizia non è il votaccio. È che se una persona seduta in cattedra non sa dialogare con un’alunna su una domanda precisa, ma sposta l’attenzione sulla persona che l’ha posta e sul suo comportamento, c’è qualcosa che non va. E per questo i giornali ne parlano.



Se un’alunna pone una domanda su un “sentito dire” che problema c’è? Da Dio in giù, chi vuole essere ascoltato — e un’insegnante dovrebbe volerlo — prima ascolta. Sì, pure Lui, prima di iniziare a dettare i dieci comandamenti con quel richiamo: “…ascolta Israele….”, ha prima l’attenzione di guardare il suo popolo e di ascoltarlo: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovraintendenti: conosco le sue sofferenze” (Es 3,7). Solo dopo, chiede di essere ascoltato. Perché, da Dio in giù, i maestri fanno così se vogliono comunicare: prima ascoltano e poi chiedono ascolto.



Nei miei ricordi di studente, i dibattiti in classe erano la parte più interessante. Un professore che dava attenzione a una tua domanda o che moderava una discussione nata spontaneamente tra di noi compagni, era manna dal cielo. Naturalmente le nostre erano domande da tredicenni, ma non significa fossero superficiali: erano da tredicenni.

A tredici anni, tutto quello che sai è perché l’hai sentito dire. Non hai esperienze, non hai nulla se non quello che hai ascoltato: hai solo domande e cerchi risposte.

Le persone che insegnano mi raccontano di domande spassose e a volte anche inopportune fatte dai loro alunni ma da esse, spesso, hanno fatto nascere approfondimenti e una lezione coinvolgente a più voci.

Se sei insegnante e vuoi che ti ascoltino, prima devi saper ascoltare tu.

Battisti e il fascismo è una domanda che renderebbe felice ogni insegnante. Si poteva partire dal fascismo. Cosa vuol dire oggi essere fascista? Chi era un fascista? Vent’anni di storia italiana e il cantautore amato da generazioni cos’hanno in comune? Le domande più belle e più utili non sono quelle che generano altre domande? La fame di cultura non dovrebbe nascere così, in un tredicenne? 

Mi piace parlare del lavoro come vocazione, ci credo profondamente. Lavorare è rispondere ad una chiamata e dare una risposta alla propria vita. Come può la vocazione all’insegnamento non avere risposte? Come può un insegnante non aver desiderio di far emergere altre domande e nuove risposte dai suoi alunni? Mi diceva una mamma che i colloqui più belli con gli insegnanti sono quelli in cui il professore ti parla di tuo figlio e non dei suoi voti. Quelli li leggi sul quaderno o sul registro elettronico. Ma sapere che domande fa in classe, se ride, se alza sempre la mano o dormicchia all’ultimo banco, quello è il bello.

Anche se il quattro fosse giusto, la giustizia non è mai abbastanza con i ragazzi. Con la vita giovane, cioè con la vita, ci vuole la bellezza. E spesso, per intercettarla servono quelle parole che non sono in più, non sono chiacchiere a vuoto, ma qualcosa di profondo che viene in superficie e non è superficiale, non merita una nota di demerito sul registro: è la voglia di raccontare e raccontarsi tutto quello che hai e che senti intorno a te. Un insegnante può dire giusto o sbagliato, dare voti, ma solo dopo. Solo dopo avere ascoltato e dialogato.

Da Dio in giù funziona così.