Lo spostamento della sede del Festival provinciale dell’Unità di Bologna è stato definito “la fine di un’era”. Quest’anno in effetti al Parco Nord, la location del festival dove sono passati tutti i leader storici della filiera Pci-Pds-Ds-Pd, da Berlinguer a Renzi, è stata preferita l’area dell’Unipol Arena, più conosciuta per il basket e i concerti, che si trova neanche a Bologna, ma a Casalecchio di Reno. Dopo 42 anni, dunque, un pezzo di storia della sinistra cambia faccia, ed è importante perché il festival di Bologna, anche se provinciale, era in realtà di valenza nazionale, essendo il più grande e partecipato, col maggior numero di volontari e di iniziative legate alla politica, alla cultura, allo spettacolo e alla mitica gastronomia. 



Si tratta di un problema di costi, di affitto troppo alto, tanto che qualcuno ha accusato il Comune di Bologna di non aver agito per calmierare i contratti per le feste di partito. Ma è proprio qui il punto: che ne è delle feste di partito, e di quella più numericamente importante, del giornale/partito dell’Unità?



Domanda che ne nasconde un’altra, facile da scovare: che ne è dei partiti? Soprattutto che ne è dell’idea di partito come organismo costruito e partecipato dal basso, reale espressione di un ideale di popolo? 

La crisi del Festival dell’Unità di Bologna nasconde la crisi di un’idea di politica, nata nel dopoguerra, che vedeva la formazione della classe dirigente passare attraverso un lungo apprendistato ai livelli amministrativi di base, persino a far tortellini ai Festival, per poi pian piano progredire, e ciò valeva non solo per i comunisti-ex comunisti, ma un po’ per tutti i grandi partiti di popolo. 



Tutto questo non esiste più. Un’abile gestione dei mass-media, a cominciare dalla televisione, è quanto occorre per creare la classe politica, con tutte le conseguenze che vediamo. Un simulacro di partecipazione poteva essere ricostruito attraverso l’uso di internet, come pretendono di farci credere i grillini del M5s. Ma se, come vediamo in questi giorni, bastano due o tre centinaia di “mi piace” cliccati sulla home di partito per candidare uno sconosciuto al governo di metropoli come Roma o Milano, la cosa è ridicola.

Il mondo cambia. Le ideologie, gli ideali politici e con loro i modi di rappresentanza passano e dovrebbero lasciare il posto, in democrazia, a nuove idee più attuali e adatte alla ricerca sempre nuova del bene comune. 

Neppure per chi è di sinistra la crisi del Festival dell’Unità dovrebbe essere una notizia così tragica, a parte per gli anziani e i nostalgici dei bei tempi che furono (e che non sono mai stati). Purché alle vecchie forme si sostituiscano nuovi modi di partecipare e riunire le persone. Un cambio di location non è un guaio: il vero problema è che al posto dell’entusiasmo, della gratuità e della partecipazione antica, oggi a sinistra e a destra non vediamo cosa ci sia.