“E’ finito un incubo. Glielo assicuro, un autentico incubo. Ma è durato dieci anni e la mia famiglia, mia moglie, i miei figli, io stesso lo abbiamo pagato caro, sia per questioni di lavoro sia per motivi di salute”. Se non ce lo ricordasse Tonino Saladino, la vicenda di cui è stato involontario protagonista bisognerebbe andare a ripescarla su internet, nelle biblioteche, tra le scartoffie delle cancellerie di tribunale. Gli italiani hanno digerito tante di quelle vicende giudiziarie, complicate e intricate, in questi anni, che difficilmente si possono ricostruire e anche solo ricordarle tutte. Infatti, a un giovane che oggi ha vent’anni, l’ex magistrato Luigi de Magistris può sembrare solo un combattivo sindaco di Napoli, un neo-Masaniello che si batte contro l’arroganza di Matteo Renzi, in una città che non appare in grande salute e con un futuro roseo. Che ne può sapere, un ventenne, di quell’ex magistrato, che aprì due inchieste quando era pubblico ministero di Catanzaro? Chi può ricordare subito, solo citando “Poseidone” e “Why not”, il nome di quelle inchieste che fecero scalpore per mesi e furono pompate in modo scandaloso da una parte della stampa e della televisione italiana? A Salerno c’era la “coda velenosa” di quelle inchieste. Si trattava in pratica di decidere se “Poseidone” e “Why not” fossero state sottratte a de Magistris sulla base di una sorta di “complotto massonico”. Il risultato, la sentenza è stata una dura delusione per l’ex magistrato, per molti giornalisti presenti, soprattutto per quelli che hanno creato, lanciato e innalzato de Magistris al ruolo di vittima di “poteri oscuri”, facendolo comunque diventare il nuovo Masaniello napoletano.



Il risultato quale è stato, Saladino?

C’è stata l’assoluzione di tutti noi imputati, siamo rimasti in sei dopo dieci anni, e la motivazione è che “il fatto non sussiste”. Il lavoro dei giudici è stato preciso, puntuale, molto corretto. Una sentenza, quest’ultima, che ha smontato del tutto il cosiddetto complotto.



E alla fine lei è uscito definitivamente da questo incubo, dopo le altre assoluzioni.

Ma a quale prezzo! E mi rendo conto adesso di che cosa significhi esattamente entrare nel tunnel di una simile situazione, dove sei accusato di tutto, dove ti difendi con tutta la forza che ti resta e spesso, se non confidando nella solidarietà degli amici, ti senti solo, fragile, vulnerabile. Adesso, dopo la sentenza di Salerno, hanno ricominciato a telefonarmi a casa diverse persone. Prima evidentemente si erano dimenticate il mio numero.

E lei, anche se è rimasto travolto dalle due inchieste e da tutta la vicenda, orchestrata dai media, è fuori, ce l’ha fatta. Altri purtroppo non sono riusciti a superare quei momenti. 



E’ vero. Alcuni non hanno retto, non ce l’hanno fatta, sono morti, si sono lasciati morire, sono rimasti soli e amareggiati. Questa giustizia che alla fine si dimostra corretta e rimette a posto le cose, non riesce in ogni caso a ridarti la serenità di dieci anni di vita vissuti nell’angoscia e con un disagio esistenziale che è difficile descrivere. Dieci anni di vita perduti.

 

Lei era un dirigente di spicco della Compagnia delle Opere in Calabria. Era riuscito a portare lavoro, aveva l’entusiasmo di chi vuole creare iniziative e l’orgoglio di riscattare, nei limiti del possibile, la situazione del suo Sud.

Avrei dovuto leggere prima quello che aveva scritto Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il significato di una sua bella frase è praticamente questo: a sud è meglio restare immobili, non fare nulla. Altrimenti si riesce a scatenare solo invidia.

 

Certo che il meccanismo usato in “Why not” ricorda il tritacarne di tante inchieste giudiziarie all’italiana. Arriva il “canarino” pentito e usato, la grancassa dei media, il protagonismo dei pm italiani, che sono gli unici magistrati al mondo che hanno tanto potere. Alla fine uno si ritrova stritolato e non sa più dove girarsi. E naturalmente viene pure accusato di aver messo in crisi le realtà di cui ha fatto parte, come la Compagnia delle Opere. Oppure compromette i contatti normali che ha avuto con uomini politici. Nell’inchiesta di “Why not” è finito, tra gli altri, pure Clemente Mastella e quella stessa inchiesta ha contribuito a mettere in crisi un governo.

Tutto vero, tutto da far rabbrividire. E poi il pensiero che ritorna continuamente alle cose fatte, alle occasioni che sono andate sprecate, al lavoro che ti è mancato, alla fatica di reinventarsi una vita di fronte alla tua famiglia che soffre. E puoi metterti a querelare a destra e a manca. Non c’è niente che ti ripaga dopo aver passato una simile vicenda.

 

Alla fine quello che sta meglio, dopo l’inferno che è stato scatenato in Calabria dieci anni fa, è di fatto l’attuale sindaco di Napoli Luigi de Magistris. Fuori dalla magistratura, ma primo cittadino a Palazzo san Giacomo. Proprio un’esemplare storia italiana di questi tempi.

Non ho più voglia di fare commenti. Ora sono soddisfatto per la correttezza dei giudici di Salerno.

 

Incredibile che in questo paese si resti ormai soddisfatti perché i magistrati si comportano correttamente. Che altro dovrebbero fare? Si potrebbe commentare che ci sarebbe da stupirsi per lo stupore. Ben tornato Saladino.

Grazie.

 

(Gianluigi Da Rold)