Nel 1975 due terzi degli inglesi votarono per restare nella Comunità economica europea, nel 1983 il tentativo del leader labour Michael Foot di sollevare nuovamente il vessillo secessionista fallì sul nascere, ma la Gran Bretagna non ha mai adottato l’euro, dopo che nel 1997 la moneta europea fallì il test delle “five golden rules” di Gordon Brown, e nel 2007 con l’opt-out si è tenuta stretta la Common Law, senza parlare della mancata partecipazione di Blair alle ratifica dei nuovi accordi riguardanti la Eu.
Una relazione Uk-Eu forse amorosa a tratti, ma non certo quell’idillio che Barack Obama ha presentato nel suo discorso in occasione della sua visita in Gran Bretagna per “fare gli auguri di persona alla regina Elisabetta”. Prendendo le mosse addirittura dalle parole del presidente Roosevelt nel 1939 al sovrano inglese George VI ospite alla Casa Bianca, ha ricordato agli inglesi che “your powerful voice in Europe ensures that Europe takes a strong stance in the world, and keeps the EU open, outward looking, and closely linked to its allies on the other side of the Atlantic”, “la vostra potente voce in Europa garantisce che l’Europa prenda una posizione forte nel mondo, e tiene la EU aperta a guardare all’esterno, saldamente collegata ai suoi alleati dall’altra parte dell’Atlantico”.
I discorsi di Obama sono oggetto di studio per la loro finezza retorica, ma che la Gran Bretagna sia il motore ideale dell’Europa non è tesi convincente, anche ad una analisi veloce delle relazioni Uk-Eu. La tesi di Obama sarà anche fumosa, ma il punto è che il sindaco di Londra Boris Johnson ha risposto sul piano politico motivando il sostegno del presidente americano al partito del Britain stronger in Europe contro quello dei vote-leave-take-control, con il “part-Kenyan ancestry“, in altre parole con le origini africane di Obama in quanto discendente di schiavi e lo “ancestral dislike of the British Empire“.
Nel discorso di Johnson, pubblicato in The Sun, la cosa apparirebbe mitigata da un generico “some say” (alcuni dicono) che precede queste affermazioni assai poco velatamente razziste (il cancelliere ombra laburista John McDonnell ha chiesto a Johnson di ritirare il commento), ma l’artificio retorico è evidente. L’ostilità di Obama sarebbe palese per la scomparsa del busto di Winston Churchill dalla White House nel 2009 perché non gradito — appunto — ad Obama. Il discorso di Johnson prosegue poi con una confutazione della tesi Britain stronger in Europe rifacendo il verso allo slogan Yes we can con cui Obama vinse la prima campagna presidenziale, descrivendo nel contempo, dati alla mano, la totale falsità della “propaganda obamaniana” contro il Brexit in nome di un ruolo da leader della Gran Bretagna nella Eu. Un inizio in cui Johnson sbaglia la misura e dimostra di non conoscere l’arte della captatio benevolentiae?
Al contrario la conosce molto bene. Lo sfondo della pagina 6 della brochure pro-Brexit titolata “Europe can’t cope and is going the wrong direction“, “L’Europa non ce la può fare e sta andando nella direzione sbagliata”, mostra una visione dall’alto di una boat people stracarica di immigranti. La maggioranza sono di colore.
Che avessero ragione i sofisti del V secolo a.C. nel dire che la retorica è arte della suggestione avulsa dal problema della conoscenza della verità?