Buone intercettazioni e malasanità? Sembrerebbe questa una delle possibili considerazioni che scaturiscono dal recentissimo scandalo legato alla sanità calabrese. Infatti mentre discutiamo dell’uso improprio delle intercettazioni e ne chiediamo la regolamentazione; mentre insistiamo per escludere i contenuti privati dalla loro pubblicazione scandalistica, il dramma della malasanità appena emerso all’ospedale di Reggio Calabria attraverso una serie di intercettazioni ci obbliga a riflettere ancora a lungo prima di legiferare in un senso o nell’altro.
Mala Sanitas hanno chiamato l’inchiesta in cui gli episodi di malasanità accertati hanno riguardato il decesso di due bimbi appena nati, le lesioni irreversibili procurate ad un altro bimbo dichiarato invalido al 100%, i traumi e le crisi epilettiche e miocloniche di una partoriente, il procurato aborto di una donna non consenziente, che oltre tutto ha riportato gravi lacerazioni nelle sue parti più intime, così come sembra che sia accaduto anche a molte altre donne. Il quadro complessivo mette in evidenza una gravissima incompetenza professionale da parte dell’intero team di sala parto e probabilmente dopo questi fatti non ci sarà più nessuno che voglia partorire a Reggio, in un tale contesto di degrado morale e professionale.
Quei medici, quegli ostetrici non sono all’altezza della qualità di lavoro che la società gli richiede. La loro competenza non risponde a nessuno dei requisiti minimi che dovrebbero avere i servizi di medicina materno-infantile. Ci si può chiedere dove hanno studiato, chi ha garantito per loro al momento della laurea e della specializzazione, chi ha verificato che avessero le capacità necessarie prima di assumerli, eccetera. Ma al di là dell’indispensabile azione di garanzia e di vigilanza che docenti e dirigenti dovrebbero svolgere, tutto ciò è in flagrante contraddizione con l’antico giuramento di Ippocrate che 2500 anni fa aveva già sancito un ben diverso codice di comportamento per i medici proprio in rapporto all’evento della nascita.
Ma l’orrore non si ferma qui e si innesta in una spirale di complicità e di menzogne che lasciano ben chiaro come tutti i membri dell’équipe fossero consapevoli della loro incompetenza e avessero stretto un patto diabolico per evitare che trapelasse fuori quanto loro ben sapevano, ricorrendo a tutti i mezzi possibili. Dal falso ideologico e materiale, alla soppressione, distruzione e occultamento dei dati, concretizzata nell’alterazione delle cartelle cliniche. Secondo gli inquirenti, qualora fosse stato necessario la cartella veniva ri-confezionata o veniva omesso deliberatamente ciò che era stato visto e compiuto durante l’intervento.
Sugli undici sanitari dei reparti di ostetricia e ginecologia e di anestesia del presidio ospedaliero Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria sta ora indagando la Guardia di Finanza. E’ stato accertato che esisteva un sistema di copertura illecito, condiviso dall’intero apparato sanitario, che scattava in occasione di errori medici commessi durante l’intervento sulle donne in occasione del parto. Il tutto per evitare di incorrere nelle conseguenti responsabilità soprattutto giudiziarie: il gip parla non solo di una serie di gravi negligenze professionali ma anche della assoluta freddezza e indifferenza verso il bene della vita, in flagrante contraddizione con la mission specifica del medico e dell’ostetrico.
E’ una lunga filiera di orrori, che iniziano con l’incompetenza personale e professionale, ma che chiamano in causa anche chi deve verificare prima di assumere una persona se quel professionista è o meno all’altezza della situazione, con criteri strettamente meritocratici e non clientelari. Non c’è stata denuncia ai primi segni di conclamata inadeguatezza; ma non c’è stato neppure il ricorso ad un approfondimento della formazione professionale, a corsi di aggiornamento, a esperienze di affiancamento con professionisti esperti. La linea scelta è stata quella dell’omertà reciproca, con un silenzio che per molte persone ha assunto il sapore della condanna a morte. Ben venga quindi l’intervento della magistratura secco, rapido, efficace, ma certamente non risolutivo.
Fin dall’inizio di questa legislatura ho presentato un ddl per rendere più sicuro il parto e circa un anno fa ne ho presentato ancora un altro, che si affianca a quello di altri colleghi, nella speranza che venissero calendarizzati e che davvero si potesse fare un salto di qualità nelle garanzie offerte alle partorienti. Ma tutto ciò giace parcheggiato in Commissione XII, perché sembra che altri siano i problemi, altre le urgenze.
Ci occupiamo di questi temi solo davanti allo scandalo e lo facciamo lasciando alla magistratura il compito di intervenire. Forse davanti allo scempio appena evidenziato a Reggio è giunto il momento di dire basta e di ripartire con una normativa che più e meglio risponda ai nuovi standard di sicurezza delle donne in sala parto. Sembra che questo sia il secolo dei diritti, ma evidentemente solo di alcuni, come sta avvenendo in questi giorni a proposito dell’utero in affitto e del presunto diritto ad avere un figlio, salvo poi girare la testa dall’altra parte e non rendersi conto di quante donne, di quante madri, sono condannate a non avere un figlio dal clientelismo omertoso di chi al merito e alla competenza oppone certi favoritismi mortali.