La differenza, in fondo, sta tutta in un avverbio. “Solo” o “anche”. Tutto qui. Provo a spiegarmi. La notizia è di qualche giorno fa: un gruppo di studiosi di un’università olandese ha scoperto i geni della felicità. 

Può far sorridere, ma la cosa è serissima: sappiamo da quali geni dipende il fatto che una persona sia contenta oppure no. Sono ignorante in materia, e non mi sogno di discutere: se seri genetisti fanno affermazioni simili hanno certo le loro ragioni. Ma sono anche vecchio, e curioso; e so che il problema è vecchio come il mondo: come si fa ad essere felici? 



Era già la questione fra gli umani e il serpente nel giardino biblico: che cosa vuol dire “sarete come Dio” se non “sarete felici”? E’ la domanda di tutte le sapienze, di tutte le filosofie: come si fa ad essere felici? E’ il nocciolo — spiega don Luigi Giussani — della rivelazione cristiana: “lo scopo per cui il mondo è fatto è la felicità di ogni singolo individuo”. Come si fa ad essere felici? Ora la risposta dei genetisti di Vries sembra concludere: la felicità dipende da certi geni. Il vecchio curioso che è in me domanda: “solo” o “anche”? 



Se la risposta è “anche”, non c’è problema: sappiamo da sempre che la realtà è complessa, è fatta di tanti elementi, ognuno porta il suo tassello. Noi umani siamo fatti di anima e corpo, l’anima è “forma corporis”, insegnava san Tommaso, siamo una realtà profondamente unitaria: le scoperte della genetica moderna lo avrebbero entusiasmato. Ma — credo — avrebbe continuato a insegnare che il corpo, realtà importantissima, non è tutto: negli umani c’è anche l’anima. Ci sono dei geni — abbiamo scoperto — che sono collegati alla felicità delle persone? Bellissimo. Ma conferma che noi siamo “anche” corpo. 



Un’altra ricerca, serissima, svolta dalla serissima università di Harvard — ne ha parlato il mese scorso Annalena sul Foglio, riprendendo un pezzo uscito sul New York Times — mostra che la felicità dipende dai rapporti con le persone che ci circondano. “Anche” questo è vero. La realtà è fatta di geni, di rapporti, di storie. E’ sempre più ricca di qualunque singolo fattore a cui pretendiamo di ridurla. E’ più semplice, ridurre la realtà a un unico fattore. Permette di dire: “ecco, ho capito, il fattore che spiega tutto è questo”. E’ il sogni dell’epoca moderna, scoprire la chiave che spiega ogni mistero. Ma grazie a Dio — in senso proprio — la realtà è più complessa. Ogni scoperta — se è vera — è un tassello che ci permette di comprenderla un po’ di più. Ogni tentativo di dire: “ecco, ho scoperto qual è il fattore che spiega tutto” è destinato a essere gettato nel ridicolo dalla scoperta successiva. 

Ben venga la scoperta che siamo “anche” i nostri geni. Viva la consapevolezza che non siamo “solo” i nostri geni. Che ciascuno di noi è più di ogni immagine o schema a cui la cultura alla moda cerca di ridurci.