Sono duecento milioni i cristiani perseguitati nel mondo. Che non possono aderire alla loro fede personalmente, pregare in pubblico, tenere libri religiosi, ricevere un’educazione cristiana ed educarvi i loro figli, che sono discriminati rispetto ad altri cittadini; che non possono, comunitariamente, agire come organismi sociali, avere i propri istituti di formazione, che non possono annunciare e comunicare con la parola e con la stampa la fede, insegnarla, incontrarsi con il papa o con i pastori in altri paesi. 



Ogni mese vengono uccisi e sempre in modo brutale 322 cristiani di diverse confessioni. Si contano ad oltre 7mila i morti solo l’anno scorso, e non possiamo accertare un numero preciso, in paesi dove non si può vedere e controllare. Se n’è accorta anche l’Onu, ma la sfilza di cifre non riesce a suscitare attenzione e commozione. Per questo il papa ha parlato di “vergognoso silenzio di tanti”. Per questo almeno la Chiesa non può “dimenticare i suoi figli: sappiamo che una preghiera quotidiana si innalza per loro, insieme alla riconoscenza per la testimonianza che ci offrono”. 



E lo fa non con manifestazioni di piazza, con striscioni che grondano indignazione episodica, che pure manca, in chi pure è abituato alle grancasse ad uso politico: la religione non pare così importante, non è una priorità, ci sono le balene, le foche, la vivisezione, la casa, le riforme, i migranti, le banche, gli ogm e le rinnovabili, la Tav, le piogge acide… tutte cose per cui vale la pena spendersi, ma la Chiesa lo fa per prima. 

Diceva bene Giovanni Paolo II, che la libertà religiosa è il fondamento di ogni libertà. Ma anche i papi, apparentemente ascoltatissimi e citatissimi, su quest’argomento vengono ripresi poco dai media. Dunque tocca ai cristiani scegliere se essere caldi o freddi. O sempre e soltanto tiepidi. Qui, dove abbiamo la libertà, ma anche l’indifferenza, il sospetto, lo sfregio, lo sberleffo e leggi che sempre più contrastano con la fede, i cristiani possono e devono mostrarsi uniti e attenti ai fratelli che soffrono. 



Stasera saranno in molti, a Roma, intorno alla Fontana di Trevi, illuminata di rosso sangue  e fuoco, non più per uno scherzo o un evento fashion, ma per rendere visibile il colore del martiri. Provocare, al di là di quel che normalmente pensiamo, significa etimologicamente chiamare davanti a. Davanti alla realtà, alla verità troppe volte trascurata. Ci saranno, con le autorità civili e religiose, testimoni che sulla pelle loro e dei loro cari hanno subito la persecuzione: Shahid Mobeen, fondatore dell’Associazione Pakistani Cristiani, era amico di Shahbaz Bhatti, il politico pakistano martire nel 2011. Suor Hésed è consorella delle suore di Madre Teresa uccise nello Yemen ai primi di marzo. Luka Loteng è uno studente, keniano.

 I suoi amici, 150, sono stati massacrati a Garissa il 2 aprile dell’anno scorso, nella loro università, scelti uno ad uno perché cristiani. Monsignor Antoine Audo è da oltre vent’anni vescovo di Aleppo, la capitale cristiana in Siria. Aveva 200mila fedeli nel suo popolo, sono rimasti meno di 40mila. Maddalena Santoro è la sorella di don Andrea, ucciso sull’altare della sua Chiesa a Trebisonda, in Turchia, sei anni fa. 

“Aiuto alla Chiesa che soffre” è una Fondazione di diritto pontificio. Tutti gli anni edita un rapporto sconvolgente, che purtroppo non raggiunge le librerie in vetrina, i banchi delle scuole di ogni ordine e grado, il primo posto sui tavoli delle redazioni giornalistiche. E’ il rapporto sulla libertà religiosa nel mondo. Riguarda noi. Come l’iniziativa romana ideata, certo non un’occasione di svago in un venerdì sera di piena primavera: non piace pensare al male, il rosso su un monumento simbolo della capitale shocca, turba, rischia di rovinare i pensieri. Pro-vocazione, appunto. 

Mi torna in mente quell’inizio di don Luigi Giussani: “durante l’intervallo, su uno dei pianerottoli delle scale del liceo, si riuniva un gruppo di ragazzi, che parlavano fra loro molto affiatati e infervorati ogni giorno sempre gli stessi. La loro costante amicizia mi aveva positivamente impressionato. Avevo allora chiesto chi fossero e mi era stato risposto: ‘I comunisti’. La cosa mi aveva colpito. Mi domandavo: ‘Ma come mai i cristiani non sono almeno altrettanto capaci di quell’unità che Cristo indica come la più immediata e visibile fra le caratteristiche di chi crede in Lui?'”.

Come mai, allora come oggi? Per questo non è strano concludere con una preghiera, tutti insieme: la scrisse in tempi lontani papa Pio XII. Allora i cristiani erano passati nei campi di sterminio, erano reclusi nei gulag e nei campi di lavoro. Oggi vengono appesi alle croci, fustigati e rinchiusi in topaie e dimenticati, come Asia Bibi. “Che la nostra fraterna solidarietà faccia sentir Coloro che non sono soli”.


Martiri cristiani. Fontana di Trevi, Roma, venerdì 29 aprile ore 20.00. Conduce Monica Mondo