Il 17 aprile gli italiani saranno chiamati a esprimersi sul referendum trivelle sulle piattaforme per le estrazioni in mare. Il testo del quesito come spesso accade non è immediato da comprendere. Una legge ha vietato la costruzione di nuove piattaforme entro 12 miglia marine dalla costa, ma ha consentito che le piattaforme già esistenti possano essere utilizzate fino all’esaurimento del giacimento. I promotori del referendum sulle trivelle hanno chiesto invece che l’estrazione da queste piattaforme debba interrompersi allo scadere della concessione, anche se sotto ci sono ancora metano o petrolio. Se quindi si raggiunge il quorum e vincono i sì, quando scadrà la concessione le imprese dovranno interrompere ogni attività estrattiva. Se invece non si raggiunge il quorum o vincono i no, le imprese potranno continuare fino all’esaurimento del giacimento, ma non potranno comunque costruire nuove piattaforme. Ne abbiamo parlato con Gianfranco Borghini, presidente del comitato “Ottimisti e razionali” che sostiene la scelta dell’astensione per fermare il referendum trivelle del 17 aprile 2016.



Quante sono e dove si trovano le piattaforme entro le 12 miglia?

Nei nostri mari sono operative 66 piattaforme, delle quali 64 forniscono gas metano e due petrolio. Inoltre 59 piattaforme sono localizzate nell’Alto Adriatico intorno a Ravenna. Al contrario Puglia, Basilicata, Campania, Sardegna e Liguria non hanno mai visto e non vedranno mai una piattaforma al largo delle loro coste.



Che cosa chiede esattamente il quesito del referendum trivelle del 17 aprile?

Il quesito del referendum è se vogliamo che queste attività proseguano fino all’esaurimento dei pozzi oppure che si interrompa quando terminano le concessioni, indipendentemente dal fatto che sotto ci sia o meno del gas. I promotori del referendum propongono la seconda soluzione.

Che cosa comporterebbe una vittoria dei sì nel referendum trivelle?

Comporterebbe un costo per la collettività. In primo luogo noi dovremmo importare metano per 2,5/3 miliardi di euro l’anno. Inoltre se passa il referendum le imprese apriranno un contenzioso con lo Stato, e a quel punto è sicuro che i giudici daranno loro ragione. Le spese di questo contenzioso ricadrebbero ancora una volta sui contribuenti.



Se vince il referendum trivelle, che cosa accadrebbe delle piattaforme già esistenti?

Sarebbero chiuse e messe in sicurezza. Un conto però è mettere in sicurezza un giacimento che è stato svuotato, mentre la cosa è ben più complicata se quest’ultimo contiene ancora del gas.

Secondo i promotori del referendum trivelle c’è una minaccia per l’ambiente, e inoltre il metano impedirebbe l’utilizzo delle fonti rinnovabili. Come risponde?

Queste argomentazioni sono assolutamente irragionevoli. Mai le nostre piattaforme hanno provocato il benché minimo incidente ambientale. Le imprese sono infatti obbligate ad applicare la tecnica dello “Zero discharge”, cioè di zero scarichi a mare. Tutto ciò che è prodotto dalle loro attività deve essere infatti stoccato e portato a riva, dove è smaltito in apposite strutture. La capitaneria di porto e i vigili del fuoco controllano che questo accada.

C’è il rischio che per errore una parte del metano finisca nel mare?

Quando il giacimento estrae il gas metano, la base è cementata e quindi non può entrare nulla nell’acqua. Le piattaforme sono di fatto diventate delle oasi marine dove sono raccolti mitili che, dopo un severo controllo, sono messi sul mercato a un prezzo superiore a quello delle cozze medie. Le cozze di Ravenna non sono mai state fermate dall’Asl, cosa che invece capita un giorno sì e uno no a quelle di Napoli e di Taranto. Il motivo è che la piattaforma non ha e non può avere nessun contatto con l’acqua.

 

Chi controlla che le regole siano rispettate?

Le piattaforme sono controllate da ministero dell’Industria, ministero dell’Ambiente, Ispra, capitaneria di porto, vigili del fuoco, Arpa e Asl. C’è insomma una catena di controllo che non esiste in nessun altro settore. Le statistiche 2013 delle compagnie di assicurazione italiane collocano l’oil & gas come il più sicuro tra tutti i settori produttivi dopo la scuola. Quindi non ci sono problemi di sicurezza né ambientali. Il contrasto con le fonti rinnovabili è assurdo, perché il metano è complementare a solare ed eolico.

 

Il metano gode di incentivi pubblici come le fonti rinnovabili?

No. Il metano non riceve un euro di contributi dallo Stato, mentre sulle fonti rinnovabili investiamo ogni anno 12 miliardi e 900 milioni di incentivi con i soldi dei contribuenti. Mai un settore industriale è stato così incentivato come le fonti rinnovabili.

 

Se si fermano le piattaforme, come si rimpiazza il metano?

Se noi da domani mattina volessimo sostituire 2,5/3 miliardi di euro in metano, dovremmo costruire 5mila pale eoliche che coprirebbero una distanza di 500 chilometri, oppure occupare 10mila ettari di terreni con i pannelli fotovoltaici. Quello dunque che dobbiamo fare è usare tutte le fonti, ma il gas metano non ha mai fatto male a nessuno.

 

(Pietro Vernizzi)