Utilissimo vedere l’intervista di Bruno Vespa al figlio di Totò Riina. Non avrei mai immaginato che un uomo giovane, nel 2016, potesse pensare, ragionare, esprimersi come lui ha fatto. L’avrei sospettato di suo padre, imbolsito, radicato in un’antropologia atavica e belluina, e neppur così. Crediamo ancora e sempre che i cattivi siano tali per interessi materiali, biechi, non che il male che tatuano derivi dalla convinzione di far bene.
E dire che le dichiarazioni dei tagliagole islamisti, dei loro portavoce in troppe moschee, dovrebbero averci allenato. Non c’è alcuna differenza, in effetti. Quando il male è convintamente considerato un compito, un destino. Quando la religione muove, e la mafia, come l’islamismo radicale, sono una religione. La fede è altra cosa. Ora, per capire, per studiare il fenomeno mafioso è stata più importante l’intervista di Vespa che decine di trattati e saggi e best-seller sulla mafia. Andrebbe fatta leggere (non vedere), ma leggere in molte scuole superiori.
E’ assurda l’indignazione preventiva e l’inviperito scandalismo: prima di tutto perché per giudicare bisogna vedere. E Vespa ha posto domande in modo impeccabile, senza commentare alcunché, facendo trapelare nell’asciuttezza del tono il suo sconcerto, senza che l’inflessione della voce tradisse la sua personale chiarissima posizione. Aveva di fronte un alieno, uno zombie, di cui dar conto, da far conoscere. Così come vien fatto con le folli elucubrazioni dei terroristi, appunto, o dei loro sodali, che pure ci peritiamo di scovare qua e là in Europa e dar loro spazio in tv e giornali.
Ci hanno propinato dittatori e ideologi, cattivi maestri e guerriglieri, che hanno mandato in solluchero le intellighenzie nostrane. I grandi inviati ci hanno ritratto dittatori e criminali di stato, da Gheddafi a Saddam, e il loro lavoro è stato prezioso. Così come è stato fatto troppe volte con gli assassini neri, e soprattutto rossi, che hanno avvelenato gli anni di piombo, e che hanno avuto la possibilità di spiegare, propagandare, pentirsi, pontificare dagli schermi tv e dalle aule magne universitarie. Ma quelli forse erano solo compagni che avevano sbagliato.
Per stare alla mafia, Zavoli, Santoro, con Contrada e Ciancimino junior. Ma già, si parla di giornalisti considerati di sinistra, e i giornalisti di sinistra, si sa, sono superiori moralmente. Vespa è considerato vagamente di destra, quindi poco libero pensatore, come colleghi di altre frequentazioni ideologiche. E poi, la retorica, l’insopportabile censura dei professionisti dell’antimafia. Come aveva ragione Sciascia. Quando preventivamente si chiede di censurare un’intervista, la libertà d’informazione, invocata come un totem di laicità e progresso, è andata in fumo.
Quando si ricordano, e giustamente, le sofferenze dei parenti delle vittime, e invece non si ragiona parimenti sugli effetti più perniciosi di fiction che trattano i camorristi come eroi, i mascalzoni e le bande romane come idoli da tatuarsi sul braccio. Quando i talk show invitano omicidi protagonisti dei più efferati crimini di cronaca nera, ferite aperte per chi piange i propri cari. Indigniamoci sempre, o meglio smettiamola di indignarci.
C’è un ragionamento diverso da fare, perché è vero, la Rai è televisione pagata dai contribuenti. E’ una tv di Stato, anche se ha più voci, non sempre così libere da condizionamenti. Dunque, il direttore della Rai avrebbe dovuto pensarci lungamente, se mandare in onda quell’intervista, e probabilmente non avrebbe dovuto dare il suo assenso. Sgombriamo il campo da eventuali accordi con la casa editrice del libro che ha dato occasione all’incontro fatale, che sarebbero inaccettabili; ma in ogni caso, l’attenzione a chiunque possa essere toccato, turbato, per le dichiarazioni disumane, incomprensibili di un vero uomo di mafia avrebbero dovuto consigliare prudenza. Anche perché non la puoi spegnere, la Rai. La paghi comunque.
Ma è anche vero che guardando agli interessi di tutti gli utenti televisivi possibili, la Rai non dovrebbe più toccare temi sensibili, non dovrebbe più fare informazione, ma solo intrattenimento. Dato che qualsiasi servizio giornalistico non può essere neutro, ma inevitabilmente si schiera, come parlare di trivelle, senza offendere chi è contrario o chi è a favore? Come parlare di allevamenti bovini, senza offendere i vegetariani? Perché dar spazio a quella voce, e non a quell’altra di opposto segno? Ridurremo le notizie a schede non più interpretabili? A una serie di dati? Una televisione così non servirebbe a far ragionare, e non la vedrebbe nessuno.
Del resto, la risposta migliore alle vane parole di Salvo Riina non era di Vespa, ma del figlio di Vito Schifani, ucciso a Capaci nella strage insieme al giudice Falcone, di cui era agente di scorta. Giovanissimo, impeccabile e orgoglioso nella sua divisa da guardia di finanza, non ha alzato la voce, non ha mostrato indignazione né rabbia. Lui è il ragazzo che vogliamo siano i nostri figli, i nostri ragazzi di Sicilia, soprattutto. Che ignorano i loro padri, che hanno meritato l’onore. Che non hanno paura di parlare, che non confondono il rispetto con l’omertà colpevole, che sanno riconoscere gli eroi veri, e prenderli a modello di vita. Che sanno sacrificare tutto, anche la vita, per il bene comune, non della cosca.