Nel marzo scorso è stata approvata, grazie alla fiducia voluta dal presidente del Consiglio, una legge (41 del 23 marzo 2016) molto discussa che ha introdotto un inasprimento delle pene notevole per chi viola il codice di sicurezza stradale. Ne abbiamo parlato con Francesco Viganò, ordinario di diritto penale nell’Università Statale di Milano, per comprendere più da vicino cosa possiamo aspettarci.
Professore, quali novità porta con sé la nuova legge sull’omicidio stradale e lesioni personali?
Il legislatore ha voluto lanciare un messaggio forte, di “tolleranza zero” nei confronti di chi causi la morte o lesioni gravi attraverso gravi violazioni delle norme del codice della strada. Sono stati così creati dei reati a sé stanti di omicidio e di lesioni stradali, distinti dai vecchi reati di omicidio e lesioni colposi, e sanzionati con pene che nelle ipotesi più gravi appaiono addirittura draconiane. Si tratta sempre, beninteso, di fatti colposi, ossia commessi senza la volontà di uccidere o di ferire la vittima, che ora però verranno puniti severamente proprio in ragione della particolare gravità della violazione delle norme sulla circolazione stradale che ne sta alla base. E’ poi previsto uno speciale reato in caso di fuga del conducente, anch’esso severamente sanzionato.
Quale inasprimento delle pene porta con sé questa legge?
Le faccio un paio di esempi. L’ipotesi base di omicidio stradale è oggi punita con la reclusione da due a sette anni. In assenza di circostanze aggravanti, il condannato potrebbe qui ancora cavarsela con la sospensione condizionale, o al limite con l’affidamento in prova al servizio sociale. Ma se a chi provoca l’incidente mortale viene accertato un tasso alcolemico nel sangue superiore a 1,5 grammi per litro, ovvero se risulti che abbia guidato sotto l’effetto di stupefacenti, la pena diviene da otto a dodici anni di reclusione. Il che significa, in pratica, che per chi sia condannato per questo reato sarà estremamente difficile evitare il carcere, posto che il limite massimo di pena per ottenere un affidamento in prova in luogo dell’esecuzione della pena detentiva è, normalmente, quello di quattro anni di reclusione. A tutto ciò si aggiungerà, nella normalità dei casi, la confisca del veicolo e – soprattutto – la revoca della patente, che potrà essere nuovamente ottenuta dal condannato soltanto dopo quindici anni dal fatto, e dopo venti nel caso di recidiva o in altre gravi ipotesi.
A quali esigenze risponde una legge così fortemente voluta dal capo del governo, tanto da aver richiesto la fiducia per la sua approvazione?
Era largamente condivisa nell’opinione pubblica una sensazione di eccessiva mitezza delle pene previste e concretamente applicate per i reati di omicidio e lesioni colpose, che si configuravano in genere in queste ipotesi. Anche le associazioni di familiari delle vittime della strada hanno giocato un ruolo importante nel sensibilizzare le forze politiche sulla necessità di prevedere risposte più ferme contro questo tipo di criminalità.
Riesce a fare un esempio di un caso a cui si potrebbero riferire queste nuove norme in maniera eccessivamente dura?
Pensiamo a un ragazzo di vent’anni che abbia bevuto un po’ troppo con i suoi amici la sera, oppure si sia fatto un paio di canne prima di mettersi alla guida. Immaginiamo che un’altra macchina gli tagli improvvisamente la strada, ad altissima velocità e senza rispettare la precedenza, causando così una collisione nella quale trovi la morte un amico del nostro ragazzo da lui trasportato, o magari lo stesso conducente dell’auto pirata. Qui è evidente che il nostro ragazzo ha violato le regole del codice della strada, e che per questo dovrà essere sanzionato per questa violazione (con una sanzione amministrativa o penale, a seconda dei casi, ed eventualmente anche con la confisca della macchina), in ragione del pericolo che ha creato agli altri utenti della strada mettendosi alla guida in quelle condizioni. Ma non avrebbe davvero senso, qui, attribuire al ragazzo anche la responsabilità della morte dell’amico o del conducente dell’auto pirata, trattandosi di un evento che lui non avrebbe potuto in alcun modo evitare, nemmeno se fosse stato sobrio.
Come evitare quindi un’interpretazione ideologica del nuovo articolo 589 bis evitando un “eccesso di pena”?
A questo fine il giudice dovrà fare un uso accorto delle possibili diminuzioni di pena legate alle eventuali circostanze attenuanti generiche, e alla speciale attenuante prevista dalla stessa legge per il caso in cui l’incidente sia stato causato dalla colpa concorrente di altri soggetti (compresa la stessa vittima). E soprattutto bisognerà che il giudice accerti con particolare rigore che l’incidente si sia verificato proprio a causa della violazione delle norme del codice della strada da parte del conducente, escludendo invece ogni responsabilità penale se appaia verosimile che l’incidente si sarebbe comunque verificato anche ove il conducente avesse rispettato quelle norme.
Quindi?
Le nuove norme, insomma, sono un’arma potente nelle mani delle procure e dei giudici: da maneggiare però con estrema cautela e da riservare ai soli casi più gravi di autentica criminalità stradale, per evitare risultati ingiusti e irragionevoli a danno di persone la cui condotta non sia stata magari irreprensibile, ma che certamente non meriterebbero di scontare pene così infamanti, dall’impatto potenzialmente devastante sulle loro vite.
(Luca Brambilla)