Nel corso della passata udienza del processo a carico di Massimo Bossetti, imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio, a prendere la parola sono stati i legali della famiglia della vittima. L’avvocato Pelillo ha dato spazio ad una lunga ricostruzione di quanto a sua detta sarebbe accaduto facendo esplodere lo stesso Bossetti che ha replicato in aula: “Assolutamente non è vero!”. Al termine dell’udienza, come riportato da Il Giorno, il legale difensore del presunto assassino di Yara Gambirasio, avvocato Claudio Salvagni, avrebbe commentato: “Oggi siamo arrivati al paradossale. Il difensore di parte civile che chiede all’imputato di confessare se no non sapremo mai come è andata! Sono due anni che cercano di fare confessare un omicidio che non ha commesso … “non posso confessare ciò che non ho fatto” questa la posizione ferma decisa da sempre sostenuta da Bossetti”.



Mentre lo scorso venerdì andava in scena, presso il Tribunale di Bergamo, la terzultima udienza del processo a Massimo Bossetti, il muratore di Mapello unico imputato con l’accusa di omicidio di Yara Gambirasio, presso l’ufficio postale di Redona, alla periferia di Bergamo, faceva discutere una lettera indirizzata alla Corte d’Assise. In base a quanto reso noto dal sito Il Giorno, infatti, la missiva conteneva oltre a varie minacce nei confronti del giudice Antonella Bertoja e del pm Letizia Ruggeri anche due proiettili, un calibro 9 di 3 centimetri e uno di calibro inferiore. Il contenuto della missiva era scritto con un pennarello a punta fine (lo stesso usato anche per scrivere l’indirizzo), tutto in stampatello e contenente molti errori di grammatica e sintassi. Oltre a contenere le minacce contro i magistrati venivano manifestati sostegno e solidarietà a Massimo Bossetti. La missiva descritta dal tono delirante era contenuta in un plico notato dagli impiegati postali i quali, insospettiti lo avrebbero consegnato agli agenti della Squadra mobile della Questura. Gli esperti non avrebbero rinvenuto alcuna impronta digitale, sebbene si sospetti che sia opera di un mitomane.



In questi giorni il processo di Yara Gambirasio ha portato di nuovo in aula Massimo Bossetti, unico indagato e presunto assassino, per affrontare l’udienza di parte civile. Sono intervenuti infatti i legali della famiglia della vittima che si sono aggiunti alla richiesta dell’ergastolo dei giorni scorsi da parte della pm Letizia Ruggeri. L’udienza si è svolta a porte chiuse ed alle telecamere non è stato possibile assistere, ma gli inviati di Quarto Grado hanno estrapolato alcuni momenti forti del processo. Prima fra tutti l’arringa finale in cui gli avvocati hanno fatto perno su alcune intercettazioni ambientali in cui ci sarebbe una confessione extragiudiziale. Si fa riferimento ad un colloquio avuto da Massimo Bossetti e la moglie Marita, mentre l’imputato si trovava in carcere ed in cui cita alcuni particolari che confermerebbero la sua presenza sulla scena del delitto. Sono dei dati significativi che sono stati più volte vagliati dagli inquirenti e su cui si è tornati anche nei giorni scorsi, a causa del rapporto epistolare fra Bossetti ed una donna detenuta in un altro carcere. Nell’arringa dell’avvocato Massimo Pezzotta, difensore della madre di Yara, gli indumenti intimi della ragazzina rappresentano inoltre il possibile movente dell’imputato, ovvero il desiderio sessuale nei confronti della giovane. Lo scempio con cui avrebbe trattato invece il corpo della vittima si rifarebbe ad un’altra pratica sessuale, ovvero il sadismo. Nel frattempo, l’avvocato Claudio Salvagni, difensore di Massimo Bossetti, punta il dito contro l’udienza e la definisce “un colpo basso” ed “uno scempio”, soprattutto per le lettere acquiste che alla fine avrebbero, a suo dire, “devastato la vita di Bossetti” e non sarebbero state citate in nessuna delle ultime due udienze. “Questa è una vera e propria tortura”, ha chiosato alla fine dell’intervista il legale. 

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